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Il linguaggio di Schlein e l'umiliazione del contenuto

Redazione InPiù 26/09/2023

Altro parere Altro parere Nadia Urbinati, Domani
Sul Domani Nadia Urbinati si occupa del linguaggio della segretaria del Pd Elly Schlein. E cita una frase senza senso che da giorni circola sui social (“Bisogna abbracciare prospetti dinamici che esprimano paradigmi virtuali di impatto permanente e perifrastico!”) attribuita a lei insieme ad altre simili. Frasi – scrive Urbinati – che lasciano interdetti coloro che credono che si tratti davvero di una citazione e coloro che colgono la propaganda lanciata dalla destra e dai suoi consci o inconsci sostenitori per indebolire il maggiore partito di opposizione. È una strategia retorica populista che invita ad identificare la leader democratica con una minoranza elitaria, lontana dal popolo. “Non parla come il popolo”, “non parla come mangia”, “non parla con empatia”, “sembra una studentessa sotto esame”, “parla come se si rivolgesse ai suoi amici”, ecc. Lo scatenamento di questo metodo di denigrazione rivela il tenore di un’opinione pubblica incivile che per nullificare i contenuti (proprio quando sono difficili da contestare) usa la strategia della demolizione di chi li propone. Il cui esito è di pagare dazio alla logica populista che vuole il semplicismo (da non confondersi con la semplicità), che vuole che la parola sia propaganda urlata e scandita emotivamente. Proprio come fa Giorgia Meloni quando veste i panni della pasionaria sovranista. Si vuole dunque una lingua che arrivi alla pancia, salvo poi lamentare una politica che parla alla pancia, dimenticando le critiche al linguaggio difficile e prendendo a castigare il semplicismo. Da un estremo all’altro. L’opinione competente che dovrebbe guidare il giudizio pubblico si fa in questo modo attenta generatrice di audience: quanti click ha avuto quell’articolo? Quanti follower ha scatenato quella bastonatura linguistica? Un metodo che eleva e butta giù persone e leader con velocità; che non lascia articolare un argomento perché la logica dell’interlocuzione pubblica è quella di Twitter.
 
Marcello Clarich, MF
Sulle concessioni balneari – scrive Marcello Clarich su MF – scadute e prorogate al 31 dicembre 2024 dal decreto milleproroghe dello scorso anno si profilano da qui a breve scenari di grave incertezza. A fine luglio il governo ha varato un decreto legislativo per la mappatura completa delle concessioni demaniali allo scopo di verificare se le coste balneabili sono una risorsa scarsa e la messa in opera di un nuovo sistema informativo (dlgs 106/2023). Questa operazione, caldeggiata dagli attuali gestori e da uno schieramento trasversale di forze politiche a livello nazionale e locale, mira a dimostrare che esistono ancora ampi spazi di costa inutilizzati e dunque a creare il presupposto per confermare le concessioni in essere. La mappatura, che richiede l’invio al ministero dell’Economia e delle Finanze di una serie di informazioni da parte di tutte le amministrazioni interessate, richiederà prevedibilmente molto tempo. Anche la scadenza del 31 dicembre 2024 rischia dunque di essere stretta. Ma il percorso fissato dal parlamento e dal governo per dare un nuovo assetto al settore sembra incompatibile con le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza. In primo luogo, il Consiglio di Stato ha già accertato che le coste balneabili sono una risorsa scarsa. In secondo luogo, il Consiglio di Stato, ma anche la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, hanno considerato illegittime le leggi di proroga automatica, con conseguente obbligo delle pubbliche amministrazioni di avviare le procedure competitive. Il quadro giuridico sembra dunque chiaro in vista di una prossima scadenza. Si profilano dunque scenari di grande incertezza e non sembra prevedibile che in questa sorta di braccio di ferro tra governo e Parlamento e giudici nazionali ed europei, questi ultimi siano disposti a far marcia indietro dopo aver preso posizioni così nette. A imporre un’accelerazione potrebbe però irrompere sulla scena un deus ex machina: la Commissione europea che quasi tre anni fa ha contestato allo Stato italiano la violazione del diritto europeo.
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