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Sui conti servirebbe un segnale

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 21/09/2023

In edicola In edicola Enrico Marro, Corriere della Sera
Enrico Marro sul Corriere della Sera invita il governo a “dare un segnale sui conti”: "Non è rassicurante sentire, qualche giorno fa, dal ministro dell’Economia che sulla manovra «siamo in alto mare». Di certo – scrive - come ha osservato ancora Giancarlo Giorgetti, la spesa per interessi sul debito pubblico è cresciuta di 14-15 miliardi per via dell’inflazione e del rialzo dei tassi. Giusto la somma che servirebbe per confermare il taglio del cuneo sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi e per partire con la riforma dell’Irpef, accorpando primo e secondo scaglione sotto l’aliquota più bassa: quindi il 23% fino a 28 mila euro di imponibile (contro i 15 mila attuali). Ma l’impoverimento rispetto al costo della vita non riguarda solo i redditi da lavoro, bensì anche le pensioni. Sono voci di spesa, quelle per contrastare il carovita, da considerare «obbligate». Così come vanno considerate incomprimibili le spese per la sanità. Si parla di una manovra di una trentina di miliardi. In realtà – sottolinea Marro - ce ne vorrebbero molti di più, per lasciare un segno. Ma bisogna fare i conti con la pesante eredità di un debito pubblico monstre che da molti anni comprime le ambizioni di qualsiasi governo. Anche questa manovra dovrà essere «prudente», come dice Giorgetti. Bell’aggettivo. In realtà, un ripiego necessitato, non una scelta. Ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno è invece una manovra ambiziosa e di lungo respiro. Non si può chiedere al governo Meloni l’impossibile. Ma qualche segnale sì. La prossima sarà la prima legge di Bilancio al 100% di questo esecutivo, dato che quella di un anno fa era già stata impostata dal governo Draghi. A una premier che si dice sicura di restare a Palazzo Chigi per tutta la legislatura si può, per esempio, chiedere il coraggio di affrontare due sfide politicamente delicate. La prima: una spending review che vada ben oltre quel miliardo e mezzo di riduzione della spesa dei ministeri prevista per il 2024. O il governo vuol far credere che la lotta agli sprechi sia finita con la stretta sul Reddito di cittadinanza? La seconda: il disboscamento delle tax expenditure, quella giungla di 740 fra detrazioni, deduzioni e altre agevolazioni fiscali che – conclude - sottrae ogni anno gettito per oltre 80 miliardi di euro (4 punti di Pil)”.
 
Mario Platero, la Repubblica
“Non c’è dubbio che il nostro Governo abbia fatto una scelta di campo politico militare inequivocabile nella sua adesione allo schieramento Atlantico”. Così Mario Platero su Repubblica osservando però che, “molto più fumosa e persino pericolosa è invece la scelta di campo che si è profilata sul piano economico, con due proposte, una fiscale — la sovrattassa sugli extraprofitti bancari — e una regolatoria — gli emendamenti introdotti dai relatori nel disegno di legge Capitali di iniziativa governativa — per attribuire poteri mai visti alle minoranze in società quotate in borsa. Le due proposte sono state giudicate con preoccupazione poco lontano dalle Nazioni Unite, ai piani alti di Wall Street e fino a Long Beach a Los Angeles, dove pochi giorni fa si è riunito il Council of Institutional Investors, l’associazione guida di investitori istituzionali americani che rappresenta — da BlackRock a Vanguard, al Tiaa-Cref ai fondi pensione statali — 44.000 miliardi di dollari. Si tratta di proposte insomma – sottolinea Platero - che vanno contro i principi fondamentali che regolano le economie di mercato. E che dimostrano quanto questo governo non abbia ancora compreso quanto il binario transatlantico politico sia imprescindibile nei suoi valori fondamentali da quello economico e finanziario. L’Atlantismo nei suoi valori essenziali deve essere misurato su entrambi i fronti. Quello della difesa delle democrazie contro i bullismi dell’autoritarismo, come succede per l’attacco ingiustificato della Russia contro l’Ucraina. Ma anche per l’applicazione e la protezione di un sistema di regole e scelte economiche che consentano ai mercati dei capitali delle economie avanzate di muoversi con certe garanzie, affinate spesso evolvendo negli ultimi Settant’anni.  Occorre che tutti i protagonisti al centro di queste proposte, anche istituzionali, ad esempio Assogestioni, finora assente, intervengano con chiarezza. E che, con altrettanta chiarezza, il governo, unito, e nella persona del Presidente Giorgia Meloni, prenda le distanze da proposte che servono l’interesse di piccoli gruppi di interesse a – conclude - danno del paese intero e della sua credibilità internazionale”.
 
Giovanni Orsina, La Stampa
Giovanni Orsina sulla Stampa analizza ‘le scelte ambigue di Meloni in Europa’: “Collaborare con l’Unione europea per com’è oggi e per come sono oggi i suoi equilibri politici interni, rispettando i suoi tabù ideologici, da presidente del Consiglio della Repubblica italiana. E – scrive l’editorialista - al contempo fare campagna elettorale opponendosi all’Unione europea per com’è oggi e per come sono oggi i suoi equilibri politici interni – un’opposizione che ideologicamente è tabù – da leader di Fratelli d’Italia e del nazional-conservatorismo continentale. L’ambiguità, prima ancora che nella politica di Meloni, è nelle cose. È intrinseca alla costruzione europea, innanzitutto, che si basa in larga misura sulla cooperazione intergovernativa, ma ha pure dato vita a un embrione di sfera pubblica continentale, generando una tensione permanente fra l’indispensabile convergenza diplomatica (fra Meloni e Macron, ad esempio, come leader rispettivamente di Italia e Francia) e l’inevitabile conflitto politico (fra Meloni e Macron come leader rispettivamente di liberali e conservatori europei). Ed è prodotta, in secondo luogo, dalla recente storia politica italiana. È certamente vero che – sottolinea Orsina - dopo aver cavalcato l’euroscetticismo dall’opposizione, ora che è al governo Meloni si trova costretta a scendere a ben più miti consigli con l’Unione.  La politica migratoria del governo Meloni lascia trasparire con chiarezza questo tentativo di affrontare la parte di ambiguità che è nelle cose. Da un lato l’esecutivo deve mostrare ai propri elettori la massima determinazione nel limitare i flussi migratori. Dall’altro deve guadagnarsi il sostegno dell’Europa. In linea generale, ha cercato di conciliare i due obiettivi dando alla difesa dei confini esterni del continente priorità sulla redistribuzione dei migranti all’interno dell’Unione. L’ambiguità può anche pagare, in politica. Paga spesso, anzi. Ma non è un gioco facile, le elezioni europee sono ancora lontane, e la presenza di un alleato – la Lega di Salvini – cui giova enfatizzare le contraddizioni non aiuta di certo. Soprattutto – conclude - non è chiaro quale sia il punto di caduta strutturale di quest’ambiguità”.
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