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Altro parere

Codice della strada e voto in condotta, torna la disciplina

Redazione InPiù 18/09/2023

Altro parere Altro parere Alessandro Sallusti, il Giornale
Alessandro Sallusti sul Giornale elogia ‘il ritorno della disciplina” che, a suo dire, arriva con il nuovo codice della strada e la reintroduzione del voto in condotta: “In un colpo solo il governo ha approvato ieri un disegno di legge del ministro Giuseppe Valditara che tra l'altro rimette con forza al centro delle valutazioni scolastiche il voto in condotta e una riforma del codice della strada voluta da Matteo Salvini che inasprisce le sanzioni per chi guida in modo non consono (alcol, droghe, cellulari). Non sfuggirà che – scrive Sallusti - pur parlando di ambiti diversi c'è un filo che lega i due provvedimenti, un filo che arriva dalla stessa matassa, quella di un governo che come annunciato vuole riportare un po' di ordine in situazioni che erano sfuggite al controllo. In sintesi: lo studente che insulta o addirittura mena i professori e bullizza i compagni non può procedere impunito nel suo percorso di studi, meglio per lui una salutare pausa di riflessione. Così come chi guida chattando con gli amici o usando il telefonino come telecamera per vantarsi sui social delle più svariate imprese è meglio per tutti, non soltanto per lui, che per spostarsi molli l'auto e riparta dalla bicicletta. Già sento il solito coro progressista indicare queste misure come illiberali, dimenticando che – osserva il direttore - libertà e disciplina vanno di pari passo e che, diceva il filosofo fondatore del pensiero moderno Immanuel Kant «la mancanza di disciplina è peggio della mancanza di cultura». E la disciplina prevede innanzi tutto il rispetto di sé stessi e degli altri, concetto universale che questa destra fa ovviamente suo e questa sinistra si ostina a non riconoscere per motivi che sfuggono all'umana comprensione. Ricordo che il giorno che non venni ammesso all'esame di maturità appunto per motivi disciplinari (alle lezioni preferivo condurre le rassegne stampa sulle nascenti radio private) mio padre si complimentò con il preside. Al momento, dico la verità, ci rimasi male sia per l'una che per l'altra cosa ma col tempo ho capito che entrambi avevano ragione da vendere e dentro di me non ho mai smesso di ringraziarli. E lo stesso vale per il poliziotto che una notte di Natale di tanti anni fa mi fermò per un tasso sia pure di poco superiore al limite consentito. Perché? Semplice – conclude - perché oggi posso dire di essere libero e vivo”.
 
Martino Loiacono, Italia Oggi
“Nelle guerre culturali che stanno infiammando gli Stati Uniti anche una semplice pubblicità può far perdere milioni di dollari”. Lo scrive Martino Loiacono su Italia Oggi richiamando il rischio per le imprese americane che fanno politica: “Basta un video sui social o una presa di posizione su un tema controverso – sottolinea Loiacono - perché scattino pesanti boicottaggi. È accaduto con Bud Light, con Disney ma anche con Target, una nota catena di ipermercati. I casi sono diversi ma, come spiega un’analisi del Wall Street Journal, c’è una radice comune. Quando un’azienda nella propria comunicazione si discosta dalla sua mission e dai messaggi a cui sono abituati i propri clienti si espone a dei rischi reputazionali ed economici. I casi di Bud Light e Disney sono emblematici. Bud Light è una delle più celebri birre statunitensi. Bud è per tutti e non ha una posizione politico-sociale. Per questo molti consumatori sono insorti quando il marchio, entrando nell’insidioso terreno dei di ritti LGBTQ+, ha scelto l’attivista transgender Dylan Mulvaney per una campagna pubblicitaria. Il video, postato sui social, ha scatenato un boicottaggio che ha causato perdite per 395 milioni di dollari. Non dissimile il caso di Disney – ricorda Loiacono - la cui mission è «intrattenere, informare e ispirare le persone di tutto il mondo attraverso la forza di uno storytelling senza pari». Una mission non ideologica ma di natura educativa. Tuttavia, la netta opposizione alle norme con cui il governatore della Florida ha proibito di parlare di orientamento sessuale e di identità di genere nelle scuole elementari ha scontentato molti clienti. Secondo un sondaggio la fiducia nel brand è crollata dal 77% del 2021 al 33% del 2022. La scelta di prendere posizione su un tema molto delicato per i genitori è stata un autogol. C’è invece un’azienda che ha fatto della comunicazione politico-sociale la sua vocazione. Si tratta di Ben & Jerry’s, una celebre multinazionale che produce gelati. Fondata da due hippie nel 1978, l’azienda, in linea con i propri valori, ha sostenuto più volte posizioni radicali sulla vendita di armi, sul taglio dei finanziamenti alla polizia, sull’aborto e sul razzismo sistemico senza mai subire gravi boicottaggi. La coerenza tra comunicazione e mission ha pagato. Insomma – conclude - il caso di Ben & Jerry’s dimostra il funzionamento del brand activism che, va ricordato, non viene apprezzato dal 58% dei consumatori americani”.
 
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