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Realtà e illusioni

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 13/09/2023

In edicola In edicola Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera
“Dall’inizio dell’anno in Italia sono arrivati 123.863migranti. È una cifra da record, è possibile che alla fine di quest’anno si supererà quella del 2016 quando si arrivò a 181.436 presenze. La situazione è ormai fuori controllo e rischia di aggravarsi nel giro di poche settimane”. Lo ricorda Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera sottolineando “l’urgenza di affrontare il problema lasciando da parte slogan, interessi di parte, campagne elettorali. La gestione dei flussi – scrive l’editorialista - non può e non deve diventare uno dei terreni di scontro in vista delle Europee. La promessa di fermare gli sbarchi fatta dalla coalizione di centrodestra prima di vincere le elezioni, si è infranta di fronte alla realtà. La necessità di far ripartire il sistema di accoglienza per chi ne ha diritto e individuare un percorso per far tornare a casa chi invece non ha i requisiti per rimanere, è ormai un’urgenza. Deve diventare priorità. Anche perché l’emergenza climatica, le catastrofi naturali, le guerre e i colpi di Stato che stanno fiaccando molti Stati africani, renderanno più imponente il numero di persone in fuga verso l’Italia. Credere che la Tunisia rispetti gli accordi — peraltro non ancora sottoscritti — per fermare le partenze, si sta rivelando un’utopia. A lasciare sola l’Italia – osserva Sarzanini - è stata l’Unione europea, hanno voltato le spalle gli Stati del gruppo di Visegrád — Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia — sui quali faceva affidamento proprio il centrodestra. Bisogna dunque cambiare passo. È giusto pretendere che la commissione Ue si faccia carico di mediare con i Paesi di provenienza dei migranti, ma l’approccio del governo deve essere diverso. A Bruxelles si deve trattare evitando di mostrare i muscoli con i partner alimentando una battaglia che non può portare nulla di buono. A Roma si deve chiedere la collaborazione di sindaci e governatori per riattivare i centri di accoglienza, distribuire i migranti in tutto il Paese, regolarizzare chi possiede i requisiti. Soltanto governando davvero l’emergenza migratoria e garantendo i diritti – conclude - si potrà ottenere il rispetto dei doveri da parte di chi arriva”.
 
Paolo Garimberti, la Repubblica
Paolo Garimberti su Repubblica descrive quello che definisce “il patto degli autocrati”: “In uno scenario evocativo di antichi tempi sovietici – osserva l’editorialista - Vladimir Putin e Kim Jong-un, due paria del mondo secondo il Dipartimento di Stato, si sono stretti platealmente la mano per quasi un minuto davanti alle telecamere, prima di suggellare, in due ore di colloquio, un baratto di armamenti, avvolto nel mistero e nell’ambiguità, che enfatizza l’isolamento della Russia, ma getta ombre cupe sul proseguimento della guerra in Ucraina. Perfino la Cina sembra infastidita dalle effusioni diplomatiche e soprattutto dalle intese militari tra il dittatore nordcoreano e lo zar russo. La spregiudicatezza di Putin, che pur di attingere alla gigantesca riserva di munizioni della Corea del Nord, necessarie a respingere la controffensiva ucraina, è pronto ad aiutare Kim nello sviluppo di missili a testata nucleare, non piace al prudente Xi Jinping, che si muove in precario equilibrio tra la ‘non condanna’ della guerra russa all’Ucraina e il desiderio di recuperare i rapporti, almeno commerciali, con l’Europa e l’America. La guerra in Ucraina – sottolinea Garimberti - è stata la cartina di tornasole che, attraverso i voti sulle risoluzioni delle Nazioni Unite o le difficili gestazioni dei documenti finali del G20, ha svelato gli spostamenti delle faglie geopolitiche. In questo mondo à la carte, che ha preso il posto di quello a menù fisso dell’epoca della guerra fredda, ognuno si muove secondo la propria convenienza, più che secondo l’appartenenza. La clamorosa visita di Biden a Hanoi, dopo il G20 in India, ne è la conferma e una plastica rappresentazione. In questo assetto geopolitico instabile, l’ ‘asse del male’ tra Putin e Kim è uno sbocco quasi naturale. Il presidente russo, sul quale incombe un mandato di cattura internazionale, può dialogare, oltre che con il suo vassallo Lukashenko, soltanto con gli ‘Stati canaglia’: l’Iran e, appunto, la Corea del Nord di Kim Jong-un. Il flop di presenze altolocate al Forum Economico Orientale di Vladivostok (la vicepresidente del Laos era la dignitaria di più alto rango) aveva mostrato il crescente isolamento di Putin rispetto all’edizione dello scorso anno. L’enfasi con la quale la tv russa ha mostrato le immagini dell’incontro con Kim al cosmodromo Vostochny – conclude - è parsa una compensazione dell’insuccesso di Vladivostok”.
 
Marco Follini, La Stampa
“Una delle sciocchezze più sesquipedali che di tanto in tanto anima il nostro dibattito pubblico si ostina a descrivere una Giorgia Meloni al bivio tra il fare la ‘democristiana’ e l’essere sé stessa”. Lo scrive Marco Follini sulla Stampa osservando come la premier “appena ammorbidisce i toni, si dispone a mediare, sotterra le molte asce di guerra brandite fino a un attimo prima, ecco che la sua Fdi diventa una riedizione della Dc, forte quasi degli stessi numeri elettorali. Salvo scoprire il giorno dopo che la sua natura è un’altra e il suo destino un altro ancora. E infatti non appena ella torna l’underdog in vena di rivalsa e il suo partito si radicalizza, l’argomento viene pudicamente messo da parte. Mi permetto di intervenire sulla questione più per amore di precisione che per antico spirito di parte. Vorrei segnalare infatti che la Dc, nel bene e nel male, fu sé stessa dall’inizio alla fine. E che nessuno dei suoi leader, che pure tanto si arrovellavano intorno alla necessità di rinnovarsi, pensò mai che si potesse essere democristiani ‘à la carte’, un giorno sì e l’altro no. Fare un partito di centro, insediarlo nel bel mezzo di un paese da ricostruire, conservarlo per quasi mezzo secolo, tutto questo si rivelò un’impresa che aveva bisogno di un briciolo di coerenza. Questo – prosegue - significa che l’essere democristiani richiedeva una certa coerenza e implicava una sorta di tenace durata. Anche troppo tenace, si dirà. Ma stava proprio qui la chiave di quella esperienza. Che ebbe la fortuna di svolgersi così a lungo dai banchi di governo. Ma che occupò quei banchi così a lungo appunto perché s’incaricò di dar voce a un’idea del paese che fondamentalmente rimase sempre quella. Un’identità complessa, si dirà. Anche troppo. Ma appunto un’identità. E non un camaleontico vestire e svestire i propri panni a seconda del variare delle circostanze. Per questo credo che Meloni – che ha una sua identità e una sua coerenza – non sia affatto ‘democristiana’, né possa mai diventarlo, né lo desideri, né vi somigli affatto, neppure nei frangenti in cui indossa vesti più castigate. Piuttosto, verrebbe da suggerire a tutti di non fare un ricorso così disinvolto a paragoni così impropri. Giacché – conclude - la storia andrebbe rispettata e tenuta più da conto”.
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