-
Altro parere
-
Slovacchia al voto: cosa rischia l'Europa a Bratislava
-
Altro parere
-
Il filo diretto tra Ucraina e Taiwan
-
Altro parere
-
La sinistra che urla non vince
-
Mal di testa (e rimedi)
-
Steinmeier: Sui migranti l'Italia va lodata
-
Giordano Bruno Guerri: “Nel nostro lavoro contano i numeri. Assurdo ...
-
Altro parere
-
Sui conti servirebbe un segnale
-
Altro parere
-
Scelta dei ministri e nomine: la fedeltà non serve al Paese
-
Altro parere
-
Gli «invisibili» e la nostra sicurezza
Regole fiscali e “patto”: in Europa servono alleanze
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 12/09/2023

Sul Corriere della Sera Francesco Giavazzi si occupa della riforma del Patto di stabilità ricordando l’importanza di avere regole di bilancio che non ostacolino la crescita se vogliamo che questa sia stabile. Cosa che il vecchio patto di Stabilità non consente. Da mesi, ricorda Giavazzi, i Paesi dell’Ue stanno negoziando un nuovo Patto e la trattativa è vicina a concludersi. Il nostro primo obiettivo, condiviso da Francia e Spagna, dovrebbe essere cancellare le regole fiscali «pro-cicliche». Non tutti nell’Ue sono d’accordo. Italia, Francia e Spagna, avevano stretto un’alleanza in grado di tener testa alla Germania. La Commissione europea, cui compete formulare la proposta di riforma del Patto, ha sostanzialmente accettato l’impostazione italo-francese. Il suo progetto non solo cancella le regole pro-cicliche, fa di più: riconosce che le condizioni sono diverse da un paese all’altro e non prevede, come il vecchio Patto, regole uguali per tutti. Sorprendentemente il ministro Giorgetti, anziché sostenere la proposta della Commissione, ha cambiato obiettivo. Egli pare non preoccuparsi della pro-ciclicità delle regole: chiede semplicemente che esse non includano, nel deficit rilevante per il Patto, le spese per investimenti. (Non significa che egli non capisca il rischio di regole pro-cicliche: è che togliere gli investimenti gli darebbe un po’ di spazio nella Legge di bilancio che sta scrivendo). Ha anche chiesto di abbinare la riforma del Patto di stabilità alla revisione dei vincoli Ue sugli aiuti di Stato allo scopo di mettere i Paesi europei nelle condizioni di rispondere alle ampie sovvenzioni che il presidente Biden sta elargendo alle aziende americane. Proposte ragionevoli, ma entrambe destinate a fallire per scarsa lungimiranza politica, compromettendo la possibilità di un’alleanza fra Spagna, Italia e Francia e quindi l’opportunità di approvare regole fiscali che non siano pro-cicliche.
Paolo Balduzzi, Il Messaggero
Per la maggior parte delle persone, scrive Paolo Balduzzi sul Messaggero, settembre è il mese delle ripartenze: si ricomincia a lavorare, si torna a scuola, si fanno progetti. Per il governo, invece, in particolare per il Ministero dell’economia, è tempo di cominciare a tirare le somme. In questi giorni, i tecnici di via XX Settembre sono al lavoro per ultimare la “Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza” (Nadef) e per aggiornarne le stime. Tra i tanti numeri prodotti ed elaborati, quelli che interessano di più, tanto i piani alti del ministero quanto i giornali e l’opinione pubblica, riguardano le previsioni di crescita dell’economia, per l’anno corrente e prossimo, nonché il saldo di bilancio e il debito pubblico. Se anche solo pochi mesi fa, a fine aprile, il Def aveva confermato le precedenti stime dell’autunno 2022, ora alcuni dati economici sono peggiorati, pur mantenendo il nostro paese una buona performance su altri fronti, come per esempio l’occupazione (almeno in attesa di ulteriori aggiornamenti). Nello specifico, sono diminuite le prospettive di crescita dell’anno corrente, che secondo la Commissione europea non dovrebbe superare lo 0,9% (comunque più della media europea), e sono invece aumentate quelle del deficit, passate dal 4,5% ad (almeno) il 5%. Vale la pena di preoccuparsi? La risposta è negativa, per due motivi. Il primo è che, almeno per tutto il 2023, non sarà in vigore il Patto di stabilità e crescita europeo. Il secondo è collegato al primo: visto che gran parte del peggioramento delle stime sul deficit, per il 2023 e per il 2024, riguarda gli effetti imprevisti del Superbonus110%, allora tanto meglio internalizzare già per quest’anno tali effetti ed evitare discaricarli sul futuro. Quasi paradossalmente, quindi, il peggioramento di quest’anno è addirittura una buona notizia. Perché il problema, semmai, è proprio sulle prospettive per il futuro, a partire ovviamente dal 2024.
Walter Galbiati, la Repubblica
Walter Galbiati su Repubblica avverte che l’Italia deve evitare manovre scriteriate se vuole restare e diventare sempre più un luogo appetibile agli investitori. Una però il governo Meloni l’ha già compiuta e ora si appresta a compierne un’altra, a meno che non si ravveda. Con la tassa sugli extra profitti delle banche (giusta o no), in un sol giorno ha bruciato il 10% di capitalizzazione di tutti gli istituti di credito quotati. Ma quel che più ha pesato non è stata la svalutazione dei titoli, in parte poi recuperata, ma la perdita di credibilità del Paese di fronte ai grandi investitori istituzionali. Ora è la volta del Ddl Capitali. Un testo che ha la pretesa di migliorare parti del Testo unico della finanza scritto da Draghi nel 1998 e che, tra le altre cose, dovrebbe facilitare l’ingresso di capitali in Italia, indispensabili per far crescere le aziende quotate e no, e con esse l’economia italiana. Peccato che a leggere gli emendamenti preparati dai relatori Orsomarso (FdI) e Damiani (FI), e quindi con grande probabilità di essere approvati, si abbia la sensazione che si vada nella direzione opposta, quella di allontanare i grandi capitali dal Paese. Il più grande errore consiste nel rendere le società quotate ingovernabili nel tentativo di voler depotenziare il meccanismo della “lista del cda”, ovvero la prassi che consente al consiglio di amministrazione uscente di presentare all’assemblea la lista dei nuovi consiglieri da eleggere. Per i relatori, e per chi ha suggerito loro questa proposta, la “lista del cda” non sarebbe altro che il tentativo dei manager di perpetuare il proprio potere. In realtà si tratta della più diffusa prassi all’interno delle società quotate tanto che capita quasi sempre che l’assemblea, composta per lo più da investitori istituzionali, qualora ve ne sia una, voti la lista del cda. È un emendamento al Tuf di cui il mercato non avverte la necessità e dannoso per la credibilità dell’Italia di fronte ai grandi investitori.
Altre sull'argomento

Patto di stabilità e crescita: ci vogliono regole semplici, ma efficaci
Come regolare gli andamenti della spesa netta primaria
Come regolare gli andamenti della spesa netta primaria

Nadef, il governo cancella l'aggiustamento dei conti nel triennio
La crescita prevista non è bassa rispetto al trend dell'Italia e non ...
La crescita prevista non è bassa rispetto al trend dell'Italia e non ...

Tutte le asperità della NaDef
Tra qualche giorno il governo deve presentare il documento
Tra qualche giorno il governo deve presentare il documento

Rivalutazione del Pil e vivacità delle imprese
L'Istat ha rivisto al rialzo (2,1%) i dati del 2021
L'Istat ha rivisto al rialzo (2,1%) i dati del 2021
Pubblica un commento