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Lo sguardo dei nostri giovani pacifisti
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 26/05/2023

Sul Corriere della Sera Goffredo Buccini cita un recente saggio sull’Ucraina, «La guerra nel cuore dell’Europa», del sociologo Vincenzo Cesareo, per segnalare che «il rischio dell’oblio» è uno dei i pericoli che può addurci il conflitto: l’orrore si metabolizza, i mesi scorrono e anestetizzandoci aiutano il dittatore del Cremlino. Un grande passo per scongiurare questo pericolo, sostiene Buccini, sarebbe la caduta dei paraocchi tra i nostri pacifisti. Temiamo, certo, che con un tiranno accusato di crimini di guerra (Putin, ove sconfitto, potrebbe finire davanti al tribunale dell’Aia) non sia possibile dialogare: non foss’altro che perché è lui stesso a rifiutare qualsiasi serio sforzo diplomatico. E tuttavia i ragazzi di oltre cento scuole e quasi altrettante università affluiti in Umbria pochi giorni or sono al richiamo della Marcia per la pace, con la loro tensione «planetaria» verso tutti i teatri di conflitto, «dal Sudan alla Libia, da Gaza alla Siria», non meritano certamente di essere bollati come appeaser novecenteschi o come utili idioti del dittatore russo. Hanno negli sguardi una speranza pulita: negarlo sarebbe ricadere in quello schematismo da realpolitik che immagina il mondo come un planisfero di Risiko, dove le potenze si muovono prescindendo da sentimenti, passioni, emozioni individuali e collettive. Ma allora è proprio a questi nostri ragazzi, ai giovani pacifisti italiani, che chiediamo d’alzare quegli sguardi, volgendoli anche oltre i confini della loro causa, ai tanti dissidenti (e pacifisti) russi dimenticati e sepolti nelle colonie penali: proprio come i loro padri e nonni non furono capaci di fare perché accecati dall’ideologia. A lungo lo spirito di fazione ha velato molti occhi, con il timore che il dissenso nell’Urss si traducesse in un imperdonabile vantaggio strategico per gli odiati Stati Uniti. Ma quello era un mondo a blocchi, i ragazzi di oggi possono evitarsi l’errore: cercando verità, ovunque essa sia.
Stefano Folli, la Repubblica
Da un paio di giorni – rileva su Repubblica Stefano Folli – alcuni commentatori tutt’altro che ostili al centrosinistra (in primo luogo Alessandro De Angelis su Huffington ma anche Mario Lavia su linkiesta) si interrogano stupiti circa l’assenza dalla scena di Elly Schlein. In Italia sta accadendo quasi tutto quello che poteva accadere, ma la leader dell’opposizione sembra afona; o per meglio dire, pare scomparsa dall’epicentro dei problemi, salvo un intervento ieri sera a Piazza Pulita. Anche all’interno del partito si avvertono perplessità varie e si diffondono interrogativi senza risposta. Ci si attendeva un passo diverso dopo le prime settimane di doveroso apprendistato. Finora Elly Schlein ha tenuto una posizione abbastanza netta, benché forse poco convinta, solo sull’Ucraina. E c’è da immaginare che su questo punto cruciale non sia mancato il consiglio del Quirinale. Per il resto non c’è granché, soprattutto a pochi giorni dal secondo turno delle amministrative. Esiste una spiegazione di tipo politico per questa scelta? Forse sì. Si mormora a mezza bocca che la leader vuole conservare e diffondere un profilo radicale, in puro stile “liberal” americano, cioè alla Ocasio-Cortez, almeno fino alle elezioni europee del 2024. È convinta che in tal modo riuscirà a recuperare i voti degli astenuti, di quanti per diverse ragioni avevano preso le distanze dal moderatismo della vecchia guardia. E non si tratta solo di chi ha disertato le urne: la speranza, peraltro evidente, è quella di recuperare un discreto segmento del voto che negli ultimi anni è scivolato verso i 5S. Tutto legittimo. Salvo che l’operazione è molto ambiziosa e richiede un surplus di intelligenza politica e di attivismo, non il contrario. Vedremo come andranno i ballottaggi dei giorni 28 e 29. Un successo darebbe ragione alla inconsueta tattica di Schlein, altrimenti sarà quasi inevitabile aprire una discussione interna.
Massimiliano Panarari, La Stampa
Sulla Stampa Massimiliano Panarari commenta il nuovo giro di nomine in Rai, accompagnate dalle dimissioni irrevocabili di Lucia Annunziata, conduttrice di “Mezzora in più” su Rai3. La (campale) giornata di ieri, per Panarari, ha rappresentato un punto di non ritorno a tutti gli effetti, sancito dalla votazione del nuovo assetto di governance della Rai sovranista. E se è venuto a mancare il voto della presidente Marinella Soldi, in cda ci ha pensato il «soccorso giallo» dell’astenuto Alessandro Di Majo a far passare l’infornata delle nomine volute dal destracentro. Si configura una Rai a trazione eminentemente meloniana e made in FdI, anche se gli alleati vengono beneficiati di posizioni importanti. Come pure il M5S contiano, a conferma della tenuta di un patto (o almeno di un cordiale trasversalismo) giallonero nato non da ieri; del resto, tra neopopulisti ci si intende. Insomma, sulla televisione pubblica la destra non fa prigionieri, e la stretta appare definitiva. Beninteso, qui non si sta scoprendo l’acqua calda, né ci si sta scandalizzando oltremisura per una lottizzazione che viene da molto lontano; anzi, che risulta iscritta nello stesso Dna della tv di Stato. Alla luce della storia del Paese, nessuno qui si sogna neppure lontanamente di fare il moralista, né si stupisce che first-past-the-post e i vincitori delle elezioni più recenti indichino persone di loro fiducia e riferimento in vari posti. Il punto è un altro. Perché adesso c’è qualcosa (“di tutto”) di più, e stiamo assistendo a un salto “di qualità” (in negativo). Nel senso che quanto avviene non costituisce soltanto l’ultima edizione della spartizione del potere televisivo, ma un autentico cambio di paradigma che al mix di «manuale Cencelli» e qualità del lavoro e risultati della Rai vecchio stile sostituisce l’appartenenza quale criterio pressoché unico. A tal punto da rendere assolutamente secondari anche gli ascolti. È quell’ossessione per la fedeltà che tormenta FdI e la sua leader, e continuerà a zavorrarne ogni tentativo evolutivo verso una destra conservatrice normale.
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