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Le Regioni e il bilancio da fare
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 23/05/2023

"Il progetto di legge Calderoli costituisce un formidabile colpo di piccone contro ciò che ancora sopravvive del nostro Stato e dell’unità della nazione. Ed è paradossale che ciò avvenga proprio con un governo guidato da chi da sempre ha fatto dell’uno e dell’altra il cuore della propria identità". Sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia demolisce il progetto di autonomia regionale differenziata definendolo un "formidabile passo avanti verso la sostanziale messa in mora dello Stato centrale a vantaggio delle Regioni. Di fonte alla quale – spiega - è impossibile non porsi preliminarmente una domanda: è ammissibile che la prospettiva neoregionalista proceda senza che si senta il bisogno di fare un bilancio di ciò che ha significato l’attuazione dell’ordinamento regionale? Ad esempio: com’è cresciuto negli anni e a quanto ammonta oggi il numero dei dipendenti regionali? Con quale percentuale di spesa sul bilancio delle regioni? Quali sono oggi le principali destinazioni della loro spesa? Ancora: è vero o non è vero che l’istituzione delle Regioni non ha significato alcun calo delle spese dello Stato centrale? Per finire: in quale misura le legislazioni regionali hanno varato nuove, asfissianti, procedure autorizzative per un gran numero di ambiti in precedenza esenti ovvero hanno reso più complicate e macchinose le procedure esistenti? Detto ciò, appare davvero sorprendente innanzi tutto il modo in cui il nuovo regionalismo dovrebbe essere attuato. Vale a dire attraverso la stipula di una serie di intese tra lo Stato e ogni singola Regione, ogni intesa diversa dall’altra nei contenuti, della durata determinata solo come tempo massimo ma per il resto cancellabile e modificabile a piacere in ogni momento e anche rinnovabile. Un singolarissimo meccanismo che equivale di fatto a una reale frantumazione dello Stato unitario senza che peraltro neppure si dia vita a uno Stato federale di fatto".
Stefano Lepri, La Stampa
"Non si poteva trovare simbolo migliore dei guai dell'Italia" del Pnrr. Lo scrive sulla Stampa Stefano Lepri, secondo il quale su questo fronte “rischiamo, come Paese, di mostrarci incapaci di preparare il domani. Le difficoltà a realizzare gli investimenti che più darebbero frutti in futuro – spiega Lepri - sembrano spingere le forze politiche dominanti a preferire meno soldi ma a pronto effetto. Eppure, proprio queste difficoltà ci indicano dove occorrerebbe innovare. L’Europa offre un sacco di soldi per dare alla nostra economia una spinta che duri negli anni, e che dunque eviti all’Italia di perdere altro terreno nel mondo. Ora si scopre non solo che quei soldi faticheremo a spenderli, o che rischiamo di dedicarli a opere poco utili. Si scopre perfino che dubitiamo dell’idea stessa di investimento, ovvero costruire qualcosa che sia utile poi. Avremmo la possibilità di prospettarci traguardi ambiziosi, tipo infrastrutture e servizi al livello dei Paesi più avanzati; ma non si smuovono strutture pubbliche inefficienti perché paralizzate da conflitti e veti reciproci di mille piccoli poteri litigiosi e invidiosi, più ancora che dalle scarse capacità di uffici dove per anni non si sono assunte persone competenti e capaci. Tutto ciò che non marcia nell’attuazione del Piano conferma l’urgenza delle riforme che secondo gli accordi europei ne sono parte essenziale, e casomai segnala che ne occorrerebbero di più incisive. Ma proprio di riforme si sente parlare pochissimo, né si intravedono novità. Sono intasati i canali attraverso i quali la politica dovrebbe raccogliere le esigenze dei cittadini. Erano stati inseriti nel Piano – esemplifica Lepri - gli stadi di Venezia e di Firenze, mentre non c’erano abbastanza residenze per studenti universitari, quando l’Italia ha meno laureati di tutti gli altri Paesi d’Europa. Investire sul futuro non è solo costruire opere che migliorino città e comunicazioni, è anche preparare meglio i giovani”.
Stefano Cappellini, Repubblica
"Ogni tanto capita che nel dibattito pubblico sia necessario un argine per evitare che torti e ragioni svolazzino come piume dentro una tempesta. Per fortuna, in questi casi, c’è Sergio Mattarella". Lo scrive su Repubblica Stefano Cappellini riferendosi a quanto affermato ieri dal Capo dello Stato nel suo intervento per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni. "La finezza di Mattarella, che il ruolo di arbitro lo ha sempre impersonato senza macchie né equivoci, sta nell’intervenire sempre e solo per ristabilire una igiene minima del confronto, senza fini occulti, ma anche nell’eleganza di usare l’anniversario tondo della morte di Manzoni per attualizzare il pensiero dello scrittore e recapitare un messaggio. Può un ministro parlare di «sostituzione etnica» a proposito di immigrazione? E può giustificarsi invocando letteralmente l’ignoranza delle tesi suprematiste legate a quell’espressione? Ecco, Mattarella certifica che non può. Lo fa elevando a modello il liberalismo di Manzoni, che intendeva i diritti come universali, concepiti per la difesa della persona e non di etnie più o meno autoproclamate. Mattarella è stato pure costretto a ricordare che “nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza” hanno portato ai momenti più oscuri della storia". Per l’editorialista di Repubblica “c’è un aspetto palesemente contraddittorio nelle teorie del sovranismo tricolore. Se la nazione ha un senso e una missione, allora si rispetti la sua unità, come appunto Manzoni che sognava un’Italia unita e non più «coacervo di staterelli», per usare le parole di Mattarella". "Difficile non pensare – conclude Cappellini - al caso eccezionale di una destra che si proclama fieramente nazionalista e sovranista e che però da anni coltiva disegni di disgregazione territoriale".
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