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La doppia partita in Europa
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 22/05/2023

Per gli europei non ci sarebbe stata alcuna sveglia sui cambiamenti in corso da tempo nel rapporto fra l’Occidente e il resto del mondo se non ci fosse stata l’aggressione russa all’Ucraina. Lo scrive sul Corriere della Sera Angelo Panebianco, secondo il quale è emblematica in questo senso la vicenda di Angela Merkel. “Quando era al potere e quando lo lasciò Merkel venne celebrata come una grande statista. Ma la sua statura politica - sottolinea Panebianco - andò in pezzi quando Putin diede il via all’invasione dell’Ucraina. Improvvisamente si capì ciò che, colpevolmente, non si era capito prima: se abbracci una belva nel tentativo di ammansirla, quella prima o poi ti sbranerà. Per niente turbata dall’aggressione russa alla Georgia del 2008, scelse di non vedere cosa Mosca stava preparando. E perseverò quando, nel 2014, Putin invase il Donbass e si prese la Crimea, non modificando di un millimetro il suo atteggiamento verso la Russia. Anzi, la dipendenza della Germania dal gas russo aumentò ulteriormente dando così a Putin la sensazione di poter imporre agli europei, tramite il ricatto energetico, qualunque sua decisione. Questo cumulo di errori spiega perché il giudizio generale su Merkel sia così repentinamente cambiato. La ex cancelliera ci ha lasciato un insegnamento su ciò che non si può e non si deve fare. In Ucraina si giocano contemporaneamente due partite. La prima riguarda, ovviamente, il destino di quel Paese. Il sostegno occidentale è vitale per aiutare gli ucraini a liberare il proprio territorio dall’invasore. La seconda partita, altrettanto vitale, per noi e per la pace in Europa, riguarda la necessità di creare proprio ciò che è mancato e che spiega l’invasione: un sistema di deterrenza così potente e soprattutto così credibile da inibire futuri tentativi russi di rimettere di nuovo in discussione i confini europei”.
Alessandro De Angelis, La Stampa
"E' un sussulto di coscienza tardivo a portare Giorgia Meloni in Emilia solo nella giornata di ieri. Non proprio un moto d’animo travolgente, a dispetto della formula pomposa, altrimenti sarebbe arrivata al G7 un giorno dopo, passando prima per le terre alluvionate". Lo scrive sulla Stampa Alessandro De Angelis, il quale nota “le modalità di una visita iper-protetta, dove il confine della sobrietà tracima nella mancanza di trasparenza. Va bene la discrezione, altro però è la segretezza sugli appuntamenti istituzionali di un presidente del Consiglio nei luoghi del disastro. Magniloquenza dell’annuncio e svolgimento ‘controllato’, fatto di spostamenti ‘coperti’ e qualche video tra i volontari in stivali di gomma immediatamente postato sulla sua pagina Facebook e associato alla parola «commozione»: il filo rosso è l’elemento di finzione nella costruzione del racconto, che nulla concede alla spontaneità e ai suoi rischi. Nei veri bagni di folla può succedere di incontrare chi ti accoglie con grandi speranze, ma anche chi ti rovescia addosso rabbia e disperazione cieca, scagliandosi contro le istituzioni, a prescindere dal colore e dalle responsabilità”. Per questo, secondo De Angelis, “la visita emiliana restituisce il senso di un’ossessione del controllo che quel filo rosso lo allunga su episodi diversi, ma con una logica comune. Da Cutro, dove la premier arrivò tardi e male sempre per paura delle contestazioni fino al Salone del libro di Torino, che col dolore c’entra poco, ma con l’insofferenza al dissenso molto. Dove invece ci dovrebbe essere l’emotività vera, in Emilia, essa è sostituita dalla valutazione di opportunità iper-politicista: prima si vede come va, poi si costruisce un ambiente senza rischi, poi si marca una presenza, secondo una modalità di piccola navigazione molto social cui è estranea l’imprevedibilità del sentimento”.
Alessandro Campi, Il Messaggero
Sul Messaggero Alessandro Campi commenta la reazione del Pd («Questa destra non tollera il dissenso», ha detto la segretaria Schlein) alla contestazione al Salone del Libro di Torino che ha impedito alla ministra della Natalità Eugenia Roccella di presentare il volume che racconta la storia della sua famiglia. “Davvero un capovolgimento orwelliano della realtà: i censori che accusano i censurati di essere anti-democratici solo perché non accettano che si tolga loro la parola nel nome della democrazia. Ma da dove nasce questa vocazione intollerante di una sinistra che pure non fa altro che parlare di libertà e dei pericoli che la minacciano?” Secondo Campi “si deve partire da una frustrazione doppia: politica e intellettuale. La prima viene dai tempi della comparsa sulla scena di Berlusconi. Quando sembrava che il vento della storia avesse preso a soffiare nella direzione giusta, con i propri avversari storici ridotti all’impotenza o alla marginalità, bene, da allora la sinistra non ha fatto altro che passare da una sconfitta all’altra. Si è trovata dinnanzi nemici dal suo punto di vista sempre peggiori e sempre più forti perdendo consensi ed elettori. Ma invece di mettersi in discussione ha finito per irrigidirsi ancora di più intorno alle proprie false certezze: la principale delle quali è che il suo compito storico sia ancora oggi quello di combattere un fascismo mai morto in quanto eterno. Il secondo motivo di frustrazione è invece riferito alla sfera culturale. L’egemonia di cui tanto si parla è, correttamente intesa, la somma di due cose che si alimentano a vicenda: il presidio dei luoghi strategici della produzione culturale e la capacità di produrre idee in grado di radicarsi nella mentalità diffusa di una collettività e di trasformarsi in consenso sociale e politico. Bene, quest’ultima capacità la sinistra l’ha persa da un pezzo, col rischio reale che strada facendo perda anche presidi e incarichi. Ne è nato un senso di delusione talmente rabbioso da trasformarsi in una forma di fanatico dogmatismo”.
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