Calderoli “Ora serve il governatore d'Italia. Senza autonomia lascio la politica”
«Le riforme costituzionali non rallenteranno l’autonomia differenziata». Sul tavolo tra le proposte che la Lega sta studiando c’è il “governatorato”, cioè un presidente del Consiglio eletto direttamente sul modello delle Regioni, prevedendo però contrappesi come la “fiducia costruttiva”. Se si arenasse, abbandonerei la politica. Sul serio, non come disse Renzi». Lo afferma
Roberto Calderoli, ministro leghista per gli Affari regionali, intervistato da
Giovanna Casadio per
la Repubblica del 15 maggio. C’è una deriva autoritaria del governo, dall’elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier, alle epurazioni in Rai? Salvini saluta Fazio e Littizzetto con un “Belli ciao”. «Derive autoritarie ci saranno state in passato! Sulla Rai il governo mi pare inattaccabile. Che la sinistra, la quale ha fatto carne di porco del sistema radiotelevisimo con le lottizazioni, ora attacchi, mi fa incavolare. E sono d’accordo con Salvini. Per quello che hanno detto e fatto pagati dalla Rai, è giustificato l’addio di Fazio e Littizzetto». Le riforme costituzionali di Giorgia Meloni rallentano la “sua” autonomia differenziata? «Non c’è la riforma di Meloni, bensì di tutto il centrodestra. Nel pacchetto riforme c’è sia l’autonomia differenziata che il presidenzialismo o forme simili. Devono entrambe arrivare a conclusione entro la fine della legislatura. Non sono in concorrenza». Una accentra e l’altra devolve alle Regioni? «Una rafforza i poteri del governo, non accentra. E l’autonomia rafforza i poteri territoriali che sono delle Regioni». Con la ministra Casellati lei va d’accordo, non è in competizione? «Stiamo costruendo insieme la parte delle riforme costituzionali. Ma l’autonomia differenziata non è una riforma costituzionale bensì l’attuazione della Costituzione in vigore». Quindi deve andare in porto prima? «La questione non è da porre così. Davanti abbiamo tre binari da percorrere: i Livelli essenziali di assistenza (Lep) che colpevolmente dalla riforma del centrosinistra del Titolo V del 2001 nessuno ha mai scritto, indipendentemente dall’autonomia differenziata. Significa che un cittadino di Bolzano e uno di Reggio Calabria devono avere gli stessi diritti a fronte delle tasse che entrambi pagano. In parallelo entro fine anno ci sarà la legge di attuazione dell’autonomia. Comincia così il percorso, ovvero la negoziazione delle intese tra lo Stato e le Regioni che avranno il via dal 2024». Però se l’autonomia si arena, cosa fa? «Non si sta arenando affatto. Comunque se non dovesse andare in porto, abbandonerei la politica. Sul serio, non come disse Renzi». Lei non prevede lentezze, benché non abbia convinto le opposizioni né le Regioni? «A me girano le scatole perché è impensabile che i diritti essenziali non ci siano e che le Regioni, che lo meritino e lo vogliano, non possano gestire delle competenze spendendo meno e meglio rispetto allo Stato. Rallentamenti in commissione parlamentare non ne vedo. Sulle Regioni: non ne ho convinte 4 su 20, e queste quattro sono tutte targate Pd. Aggiungo che due, L’Emilia Romagna e la Toscana, se non avessero ricevuto ordini di scuderia, sarebbero pro-autonomia». C’è insofferenza dei leghisti nel governo? «Nessuno mi attribuisca quello che non è. Ritengo che il governo del centrodestra sia fatto da persone serie, che cercano di condividere le migliori scelte possibili per il Paese». Quindi sulle riforme costituzionali condividerete il presidenzialismo, il semipresidenzialismo o il premierato? «Nel programma di governo c’è l’intesa sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. Abbiamo ora fatto una valutazione dei pro e dei contro. Se in Italia ci fosse l’elezione diretta, il capo dello Stato diventerebbe una figura politica, non più super partes, che è il ruolo perfettamente incarnato da Sergio Mattarella. Preciso: da Mattarella, perché non sempre è stato cosi». E allora? «A questo punto la riflessione è per modifiche limitate, e il premierato potrebbe essere la strada giusta». D’accordo quindi con il sindaco d’Italia? «L’elezione diretta del presidente del Consiglio non è il sindaco d’Italia, che personalmente giudico una bestemmia. Piuttosto penso al modello “governatore” della Regione, ma calato nel contesto nazionale. Significa che il capo del governo è eletto direttamente dal popolo però collegato a una coalizione di governo che gli garantisca una maggioranza certa in entrambe le Camere. Il principio del premier eletto deve essere controbilanciato dal ruolo del Parlamento, pertanto occorrerebbe introdurre la “fiducia costruttiva”, ovvero solo la maggioranza che ha espresso il premier, ha la possibilità di trovarne un altro, in casi particolari». Sta studiando anche una legge elettorale ad hoc? Dal Porcellum in poi è abituato a scrivere leggi elettorali. «Anche troppo abituato. Se me lo chiedono, ho in testa come potrebbe essere, ma non ci tengo ad occuparmene. Comunque prima viene la riforma costituzionale». L’assenza di Salvini durante la visita di Zelensky a Roma è stato un modo per smarcarsi? «Ha risposto Salvini stesso, rinviando al mittente le ricostruzioni capziose».