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Altro parere

Quei giovani, figli di chi ha smesso di seminare

Redazione InPiù 18/05/2023

Altro parere Altro parere Luca Ricolfi, il Messaggero
Luca Ricolfi sul Messaggero parla della condizione giovanile (partendo dalla protesta degli universitari per il caro affitti) e sottolinea che c’è “anche una ragione più profonda per cui, quando il discorso cade sulla condizione giovanile, è difficile assumere una posizione netta, e tantomeno sparare giudizi intransigenti o inappellabili. Il fatto è che, sulla condizione giovanile, convivono in Italia due racconti apparentemente opposti, ma entrambi fondati. Il primo racconto osserva che in nessuna altra epoca è stato così alto il numero di giovani che possono permettersi di non fare nulla: né studio, né lavoro, né addestramento a un lavoro. In nessuna epoca del passato è stato possibile posticipare così a lungo l’ingresso nel mondo del lavoro (i cosiddetti Neet). Il secondo racconto – sottolinea Ricolfi - osserva che mai, nella storia repubblicana, sono state così poche, e così inadeguate alle aspirazioni, le occasioni di lavoro. Troppi posti di lavoro sono precari o sottopagati. Troppo incerte e modeste sono le possibilità di avanzamenti. Troppo forte è la tentazione di cercare all’estero quel che non si riesce a trovare in Italia. Di qui nascono i contro-stereotipi che descrivono i giovani nel registro vittimistico: sfruttati, emarginati, precarizzati, derubati del futuro. Il fatto interessante è che entrambi gli stereotipi, quello di una generazione viziata e quello di una generazione vittima, posseggono qualcosa di più che un semplice “fondo di verità”. Ma c’è di più. I due stereotipi non solo sono entrambi a loro modo veritieri, ma sono strettamente connessi, perché hanno una radice comune. Se i giovani non trovano lavoro e (in tanti) possono permettersi di non cercarlo è anche perché, negli ultimi 60 anni, le generazioni immediatamente precedenti hanno radicalmente cambiato i propri modelli culturali. Al posto dell’etica del lavoro, del risparmio, dei sacrifici, dell’emancipazione attraverso la cultura, si sono affermati modelli di vita opposti, basati sul consumo, il tempo libero, il primato dell’autorealizzazione, l’iper-protezione di figli e allievi, il diritto al successo formativo. È questo che, a un certo punto, ha fermato la crescita. È questo che ha bloccato l’ascensore sociale. È per questo – conclude - che i due stereotipi, quello del giovane viziato e quello del giovane vittima, non sono l’uno vero e l’altro falso, ma facce della medesima identica medaglia”.
 
Salvatore Bragantini, Domani
Salvatore Bragantini su Domani invita il Pd ad essere meno cauto sul tema del salario minimo: “Per una volta che, dopo decenni, il lavoro può aumentare la propria quota di valore aggiunto – scrive l’economista - la politica monetaria gli spunta l'arma in mano. Lo fa, per la teoria classica, perché altrimenti l'inflazione continuerà a taglieggiare i dipendenti: non si lagnino, lo facciamo per il loro bene! L'argomento può essere giusto o errato, non si può prevedere come le persone reagiscono alle circostanze, molti fatti possono indurre reazioni opposte; è bene che salga l'occupazione, ma la banca centrale, temendo un surriscaldamento dell'economia, potrebbe alzare i tassi. L'economia è disciplina sociale, non scienza esatta. Deve dosare acceleratore e freno, non c’è una velocità giusta in astratto; conta l'abilità di chi guida ma anche il tracciato, la visibilità, le condizioni del mezzo, il fondo stradale. Stenta a capirlo la politica, fissa com'è alla ricerca dei consensi. La segretaria Pd, Elly Schlein – osserva Bragantini - è ancora cauta, vorrà capire come reagirà un partito affidatole non dagli iscritti, ma dagli elettori. Ora deve entrare in partita e il momento apre ampi spazi per una battaglia che è nelle corde del Pd: un salario minimo fissato dalla legge, che solo può ridurre i danni inferti ai redditi fissi dall'inflazione, con milioni di persone prive di contratti nazionali Il relativo aumento essendo una tantum, lungi dall'avviare la spirale prezzi/salari, il salario minimo può fermarla. Schlein non tema la perdita di potere del sindacato, che le sue schiere le ha ancora, è il Pd ad averle perse. Un salario minimo ridurrà le disuguaglianze di reddito e svuoterà lo stagno dove sguazzano le finte cooperative, cui molte imprese danno subappalti per celare lo sfruttamento, riducendo i costi a scapito della sicurezza. Se tante imprese marginali chiuderanno, anche perché il salario minimo intacca l'evasione, all'economia sana servirà ancora chi ci lavorava. Sbugiardiamo alfine l’idea che solo l'evasione faccia sopravvivere tante imprese; l'aria sarà più pulita e molte storture, segnalate su Domani dall'appello di economisti per un fisco più giusto, spariranno. Se il rapporto fra stipendi massimi e minimi calasse da 1.000 a 500 volte – conclude - staremmo tutti meglio in una società meno iniqua, anche chi oggi sta a 1.000”.
 
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