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Incalzare Pechino

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 23/03/2023

In edicola In edicola Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera
Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera chiede unità d’intenti nell’incalzare Pechino a mediare sul conflitto in Ucraina: “Il 24 febbraio scorso – scrive l’editorialista - Xi ha diffuso un documento in 12 punti, presentandolo non come una bozza d’accordo tra le parti, ma una serie di principi sui quali provare a ragionare. Il governo americano ha liquidato quel testo all’istante, accusando Pechino di non essere credibile, visto che non ha mai condannato l’aggressione all’Ucraina e anzi, ha continuato a sostenere l’economia russa. E l’Unione europea? Per il momento abbiamo sentito con chiarezza solo la voce della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che, di fatto, ha ripetuto, quasi parola per parola, la posizione espressa dalla Casa Bianca. Zelensky, però, non si è fatto impressionare ed è andato al cuore del problema: la sponda cinese può tornare utile alla causa della pace o è solo una facciata di cartone? Tutti hanno preso atto che non sarà Putin a fermare la guerra. Ma – sottolinea Sarcina - la discussione su che cosa possa indurre il numero uno del Cremlino a cambiare corso è molto intensa, tanto a Washington come a Berlino, Parigi, Roma o Varsavia. Il Pentagono e poi lo stesso governo di Kiev hanno annunciato l’imminente avvio di una robusta controffensiva, una «spallata» per sconfiggere Putin sul campo. Tuttavia sia Biden che Zelensky ora vogliono telefonare a Xi Jinping. Ora i tempi sembrano maturi per «un’operazione verità» corale, condotta da tutta l’Unione europea. Lo stesso discorso vale sulla scala geopolitica. Di nuovo, l’Europa, se davvero vuole lasciare il segno in questa vicenda, dovrebbe dimostrare ai Paesi scettici o non allineati, dall’India all’Arabia Saudita, dal Brasile all’Indonesia, di aver preso sul serio, di aver vagliato ogni possibilità, prima di avallare l’attacco armato di primavera per liberare l’Ucraina. Ragioni di politica interna e di strategie internazionali suggeriscono che sarebbe necessario incalzare Pechino, chiedere di scoprire le carte, non più, o non solo – conclude Sarcina -con sondaggi riservati, ma con un’iniziativa politica netta e trasparente. Comprensibile per tutti”.
 
Andrea Bonanni, la Repubblica
“Giorgia Meloni a Bruxelles sembra sempre fuori posto, come certi invitati in un salotto buono che non sanno neppure dove andare a sedersi”. Lo scrive Andrea Bonanni su Repubblica: “Vorrebbe portare al vertice europeo – osserva l’editorialista - l’ennesima emergenza migratoria per ottenere non si sa bene che cosa. La riscrittura degli accordi di Dublino sui richiedenti asilo, che l’Italia reclama a gran voce pur non rispettando quelli ora in vigore, continua così ad essere rinviata da un vertice all’altro, come quei punti all’ordine del giorno delle riunioni condominiali che nessuno vuole veramente affrontare. Non si tratta solo di errori negoziali e diplomatici (che pure ci sono stati). A questo punto sembra chiaro che il problema di Meloni in Europa non è più politico, ma identitario. Un governo che, a casa, passa il tempo a inseguire le emergenze più svariate, sia quelle reali come la questione migratoria o i ritardi del Pnrr, sia quelle inventate, come la crociata contro le adozioni gay o il fantomatico ponte sulle Stretto, non può e non riesce a dare di sé un’immagine coerente a Bruxelles. La questione identitaria – sottolinea Bonanni - si estende anche a quella ideologica. Quando guarda all’Europa, questo governo ha almeno tre anime: quella (teoricamente) europeista di Forza Italia, quella dichiaratamente filo russa e anti europea della Lega, e quella ambigua della premier, che cerca di barcamenarsi tra la natura euroscettica del suo partito, la necessità di tenere buoni rapporti con Bruxelles in quanto detentore delle chiavi del nostro bilancio, e il progetto strategico di consolidare una alleanza con il Ppe per creare una maggioranza di destra nel prossimo Parlamento europeo. Ma nel salotto europeo non si può venire solo portando emergenze irrisolte, vuoto propositivo e ambiguità ideologica come sta facendo il governo italiano. Fino a che continuerà a farlo, Giorgia Meloni non troverà il proprio posto in Europa. E il Paese da lei governato – conclude - pagherà il prezzo della sua mancanza di identità”.
 
Guido Saracco, La Stampa
“La via per fermare i barconi è in primis quella di far intraprendere un percorso di crescita sostenibile all’Africa con azioni credibili e di impatto locale, che coinvolgano le nostre imprese e le nostre università”. Lo scrive Guido Saracco sulla Stampa secondo cui, “mosse da uno spirito di condivisione di conoscenze e valori ben più rispettoso del colonialismo estrattivo del secolo scorso, le nostre università potrebbero insediarsi in Africa per formare la classe dirigente di quei paesi perché seguano un percorso di sviluppo rispettoso delle risorse naturali. Ma perché l’Africa? Se la globalizzazione ed il progresso tecnologico hanno portato a ridurre la povertà nel mondo e ad aumentare la vita media, le vaccinazioni e la scolarità, questo non è il caso dell’Africa sub-sahariana dove da inizio secolo sono aumentati di 100 milioni i poveri assoluti (meno di 2 US$ di reddito al giorno), per raggiungere oramai i 600 milioni di individui. Siccome oggi uno smartphone non è negato quasi a nessuno – sottolinea - gli africani sanno perfettamente quanto migliori siano le condizioni di vita da noi. Per far ripartire la nostra economia servono nuovi portatori di competenze. Un problema largamente sottostimato nel nostro paese è quello della denatalità. Quanto agli arrivi soffriamo di una immigrazione di bassa scolarità che non cambierà le sorti della nostra economia. L’Italia ha il più alto fertility gap, ossia la differenza tra i figli che si vorrebbero e che si hanno, e vede troppi degli studenti che forma andare a lavorare all’estero. Dobbiamo però anche avviare politiche di immigrazione diverse. Ad esempio il Canada, con soli 38 milioni di abitanti, programma l’arrivo di 1,5 milioni di immigrati nei prossimi tre anni e ha il 9° Pil mondiale, avendo noi oggi l’8°, una volta il 5°. Occorre investire nell’accoglienza e nella formazione di chi arriva, come pure promuovere l’attrazione di studenti stranieri nei nostri atenei. Una inversione di tendenza nella natalità pagherà tra vent’anni, un migrante o uno studente straniero che arriva da noi e viene formato alle nostre competenze e valori – conclude Saracco - oggi può invece dare un contributo immediato alla inversione della rotta della barca traballante della nostra economia”.
 
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