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Redazione InPiù 15/03/2023

“Dobbiamo iniziare ad aver paura davvero?” Così Daniele Manca sul Corriere della Sera ricordando "la settimana scorsa la crisi in California di una banca legata alla Silicon Valley, simbolo della tecnologia motore della crescita. Ieri in Svizzera, la caduta di un altro istituto, il Credit Suisse. Due inneschi per un incendio che ha coinvolto i mercati mondiali crollati in Europa come in America. La risposta alla domanda iniziale dovrebbe essere «no». Ma solo in teoria. E non dovremmo aver paura per almeno un paio di motivi. Il primo - scive l'editorialista - è che paradossalmente le crisi finanziarie che abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni avrebbero dovuto insegnare molto a chi queste situazioni doveva controllare. Ed evitarle. Il secondo è che, in entrambi i casi, la caduta delle due banche è legata non tanto a sofisticati investimenti in esotici derivati o a chissà quale truffa. Ma a ragioni chiare ed evidenti. Ma – sottolinea Manca - conoscere le ragioni della caduta delle due banche non spinge certo a essere tranquilli. I crolli sui mercati di ieri fanno capire quanto il nervosismo pervada il mondo dell’economia. Il crollo delle Borse di questi giorni (e ieri è toccato anche a Wall Street che sembrava avesse digerito la crisi della SVB), dimostra che la mancanza di fiducia in un uno o due istituti fa presto a trasformarsi in panico generale. Ogni crisi bancaria inizia dal fatto che investitori, imprese e cittadini tolgono la fiducia al proprio istituto ritirando depositi e investimenti. Ma se il panico si diffonde, il tutto si trasforma in perdurante crisi. Ed è questo che va evitato. Almeno la lezione del 2008 dovrebbe essere stata imparata. La vigilanza è fondamentale. Ma anche banchieri centrali e politica devono fare qualche riflessione. È vero che l’inflazione è la tassa più ingiusta che taglia in modo non visibile ma reale gli stipendi, frena i consumi e gli investimenti. E quindi il rialzo dei tassi di interesse è lo strumento principe per combatterla. Ma – conclude Manca - come sottolineato nei giorni scorsi dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, farlo è un conto, continuare ad agitarlo come spettro un altro”.
Marta Dassù, la Repubblica
Marta Dassù su Repubblica parla dei nuovi piani della Cina che, scrive, “dopo gli anni di isolamento del Covid, si rilancia sulla scena globale. Con un bilancio della difesa in forte crescita (7% nel 2023) e attraverso un protagonismo diplomatico senza molti precedenti nella storia della Repubblica popolare. Non è tanto il finto-piano di pace sull’Ucraina (con le tappe annunciate la prossima settimana: visita di Xi Jinping a Putin e prima telefonata a Zelensky). In questo caso, la realtà è che Pechino ha interesse a una guerra protratta, che tenga gli Stati Uniti impegnati sul fronte europeo e che dreni risorse economiche e militari dal fronte indo-pacifico e dal vero, possibile teatro di scontro, Taiwan. È piuttosto quello è accaduto in Medio Oriente pochi giorni fa. Pechino – osserva l’editorialista - ha mediato la ripresa dei rapporti diplomatici fra Riyad e Teheran, dopo 7 anni in cui la potenza sunnita, l’Arabia Saudita, e la protagonista dell’universo sciita, l’Iran, avevano rotto le relazioni. La “guerra fredda 2.0” si gioca sul predominio tecnologico. E sulla tenuta delle alleanze: i nuovi formati asiatici sponsorizzati da Washington (Quad e Aukus) e i rapporti con gli europei, coinvolti nel bando dell’esportazione di tecnologia sensibile a Pechino. L’importanza cruciale di Taiwan nel confronto Usa-Cina – prosegue Dassù - dipende anche da questo, dal peso dominante di Taipei nella produzione di semi-conduttori. Pechino cerca di impostare la partita con gli Stati Uniti tenendosi la Russia indebolita al fianco quale junior partner e cercando di accreditarsi, in teoria, come superpotenza di riferimento del cosiddetto Sud Globale (ma è un mondo troppo variegato perché questo disegno riesca). Soprattutto, Pechino interviene dove Washington appare in difficoltà. La relazione con l’Arabia Saudita è un dossier che Joe Biden non è riuscito a gestire — fra vincoli dovuti al caso Khashoggi e tentativi vani di spingere Riyad, quale pilastro dell’Opec-plus, ad aumentare la produzione di greggio. La sicurezza energetica è parte dell’equazione. Se è ormai evidente che economia e sicurezza non possono più essere tenute separate, il confronto Usa-Cina accentua il problema. E impone delle scelte: anzitutto al nostro paese, che si trova sul tavolo il problema del rinnovo dell’accordo del 2019 sulla Belt and Road Initiative cinese. Un vero errore politico – conclude - che non sarà semplice gestire”.
Stefano Lepri, La Stampa
Ora nel sistema bancario la crisi è di fiducia. Lo scrive Stefano Lepri sulla Stampa: “Quando sono addirittura le banche a dubitare l’una dell’altra, viene subito di pensare che là dentro si sa qualcosa che ancora noi non sappiamo. Stando alle cifre che si conoscono – sottolinea l’editorialista - non ci sarebbero i presupposti per difficoltà diffuse come quelle di cui i mercati finanziari in questi giorni stanno mostrando di temere. Ma di certezze solide non ce ne sono, quando tutto dipende dalla fiducia. Una crisi di fiducia può abbattere anche una banca sana. Non è necessario dunque che ci siano magagne nascoste. Può bastare il contagio della paura. Facile ironizzare sui banchieri che fino a ieri inneggiavano a una assoluta libertà di mercato e oggi implorano soccorso dai governi. In realtà la ricetta giusta non era facile stabilirla in anticipo. I due casi della Silicon Valley Bank e del Crédit Suisse non potrebbero essere più diversi, eppure cooperano a suscitare uno stesso panico. Insomma, la finanza è instabile per sua natura e mai ci si deve illudere di aver trovato soluzioni ottimali per stare tranquilli. Se, come si è visto da noi con le proteste dei «risparmiatori truffati», le nostre società generano spinte potenti a tappare con il denaro di tutti le falle aperte da banchieri incauti, occorre prenderne atto. Ma questo – osserva Lepri - richiede che sia rafforzata ancora la prevenzione e che siano inasprite le pene per chi sbaglia. Non ci sono banche abbastanza piccole perché possano essere sottoposte ad obblighi più leggeri. Dal lato opposto, è meglio evitare la formazione di colossi bancari che ricattano i governi perché troppo grandi per fallire. Nel breve termine, occorre evitare che le cose peggiorino. Per sua sfortuna, la Banca centrale europea proprio oggi deve decidere sui tassi. L’aumento di mezzo punto a cui da settimane si preparava è del tutto giustificato considerando che l’inflazione resta alta e le imprese, anche in Italia, hanno buoni margini di liquidità; ma potrebbe essere in questo momento inopportuno perché - conclude - accrescerebbe le difficoltà bancarie. Si può trovare la maniera di fare una pausa senza configurare un brusco mutamento di rotta?”.
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