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Troppi vivono il trasferimento al Nord come una deportazione

Redazione InPiù 27/01/2023

Altro parere Altro parere Gianni Macheda, Italia Oggi
Su Italia Oggi Gianni Macheda riflette sul fatto che troppi, al Sud, vivono il trasferimento al Nord per motivi di lavoro come una deportazione. Scorrendo le bacheche su Facebook, i tweet su Twitter, le storie su Instagram, spesso pare che il calabrese, il campano, il pugliese o il siciliano ai quali il lavoro imponga di ritornare al Nord dopo ferie, pause natalizie o pasquali, toccate a fughe per trovare i parenti, stiano andando al supplizio. «Non ce la posso fare», «Mancano X giorni e poi torno», «Ho già preso il biglietto per agosto», «Lasciatemi qui». E poi foto affiancate di spiagge e luoghi nebbiosi con scritto “Trova la differenza”, salumi ammucchiati su tavole imbandite (da Mantova a Bologna si chiedono cosa sbaglino nella comunicazione), mari scintillanti (e qui sono le Cinqueterre a porsi interrogativi su quella distesa azzurra che hanno lì davanti). Lasciare la propria casa e i propri genitori, le abitudini, il giro degli amici, può essere doloroso ma rappresenta un momento di crescita soprattutto quando non ti sposti per andare in mezzo al Circolo polare artico ma in città che ospitano bellezze artistiche e architettoniche e tradizioni storiche e culinarie che non sono da meno rispetto a quelle dei posti da cui provieni. Anzi: nel cambio tra un pittoresco dell’entroterra siciliano e Milano sicuramente all’inizio ci perdi in termini di qualità della vita, ma dopo ci guadagni Leonardo e la Pinacoteca di Brera e non so se mi spiego. E poi diciamocela tutta, serve un po’ di coerenza: perché gettar fango sui luoghi in cui porti i tuoi genitori a curarsi, visto che a casa tua non ti fideresti neanche di far metter loro una flebo? Dice: ma gli stipendi sono bassi, vivere così è impossibile. Hai provato a chiedere ai nonni cosentini i sacrifici che han fatto per portare il pane a casa? Insomma, sarebbe il caso di liberarci da questo mammonismo che dalla tetta si è trasferito al tetto. E lo dice uno che è di Reggio Calabria e ama la propria terra ma sa che la vita non può essere solo “scialarsi” una granita sul Lungomare.
 
Lino Patruno, Gazzetta del Mezzogiorno
In questo Paese chiamato Italia – afferma Lino Patruno sulla Gazzetta del Mezzogiorno – il Sud è trattato da diversamente italiano, ha meno diritti solo perché è Sud. Se sei un bambino di Crotone corri un rischio doppio di morire nel primo anno di vita rispetto a uno di Pavia. Se sei un vecchio di Potenza non puoi essere curato come uno di Padova e muori tre anni prima. Se sei di Alessandria hai l’assistenza domiciliare e a Campobasso no. Se vai a scuola a Caserta hai un insegnante ogni venti alunni e a Modena uno ogni dieci. Se sei l’università di Foggia ti danno meno fondi di quella di Bologna. Se sei un lavoratore di Cosenza ti pagano meno di uno di Verona. Se stai a Torino hai un treno ad alta velocità ogni venti minuti con Milano e fra Bari e Napoli nessuno. Non meraviglia (anche se indigna) sapendo che lo Stato italiano spende ogni anno per ogni suo cittadino centrosettentrionale 3671 euro in più rispetto a ogni suo cittadino meridionale. Ciò che sempre ogni anno dirotta dal Sud al Centro Nord 61 miliardi. Sottraendo al Sud servizi pubblici essenziali, a cominciare appunto da sanità, scuola, trasporti. Sottraendogli infrastrutture (al Sud il doppio di ferrovie a binario unico). Mortificandone la qualità della vita. E costringendolo a una emigrazione che finora è stata pari alla sparizione di due città come Bari e Taranto. Allora uno Stato che non volesse continuare con questo scandalo a livello internazionale dovrebbe riequilibrare la spesa. Dovrebbe calcolare ciò che non ha mai calcolato, cioè i bisogni del Sud. Invece avviene che non solo non si calcolano questi bisogni del Sud. Ma avviene che questo governo (per mano di un suo ministro non smentito) avalli una richiesta da parte di tre regioni del Centro Nord di avere una maggiore autonomia. Ma avviene di peggio. Avviene che il Sud fa la battaglia contro quell’autonomia invece di fare la guerra santa per i suoi bisogni mai riconosciuti e sempre violati.
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