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Dopo Draghi l'Europa è uscita dall'orizzonte della politica
Redazione InPiù 24/01/2023

Dopo Draghi l’Europa è uscita dall’orizzonte della politica. Gianfranco Pasquino su Domani critica così la mancanza di visione della maggioranza: “Praticamente le scelte politiche che il governo italiano deve fare implicano, quale più quale meno, un certo atteggiamento verso Unione europea” scrive l’editorialista ricordando i dossier aperti che in qualche modo riguardano Bruxelles: dai balneari, ai carburanti, dal gas alla fornitura di tank all’Ucraina, fino ai casi Regeni e Zaki dove, sottolinea Pasquino “meglio sarebbe se fosse l'Unione europea a gettare il suo peso negoziale”. “Non alla luce del sole, ma neanche sottotraccia – scrive ancora Pasquino - Giorgia Meloni sta perseguendo un avvicinamento dei suoi conservatori ai Popolari europei che, divisi al loro interno, cercano comunque di mantenere una posizione dominante. Da ultimo, nella sua opera a tutto campo di ridefinizione della politica del Movimento 5 stelle, la visita di Conte a Ursula von der Leyen può indicare la propensione a riaggiustare una politica fin qui sembrata una presa di distanza senza prospettive. Inevitabilmente, è dalle parti del Partito democratico, tuttora con qualche scricchiolio l'organismo più europeista e più federalista in Italia, che suona la campana. Le elezioni del parlamento europeo sono relativamente lontane, maggio 2024, e prima sì faranno i conti con le elezioni regionali in Lombardia e in Lazio. Però – aggiunge - il sostanziale silenzio dei candidati e delle candidate (compresa Elly Schlein, già europarlamentare e dotata di non poca specifica competenza) alla segreteria sul ruolo che i loro partito svolgerà nell’Ue appare inquietante appare inquietante. Più in generale dopo Draghi, mancano eli interpreti e i predicatori credibili del futuro dell'Italia nell'Unione e – conclude - di quale futuro l’Italia si impegna a costruire nell'Unione. Nel centro del gruppo senza arte né parte? Fra i fanalini di coda? Hic Bruxelles, hic salta”.
Salvatore Merlo, il Foglio
Salvatore Merlo sul Foglio esamina con il filtro dell'ironia le vicende interne al Pd: “Dopo essersi fatti eleggere dal Pd ed essere rientrati nel Pd, il loro primo atto politico ieri è stato ovviamente quello di non votare gli aiuti militari all’Ucraina in dissenso dal Pd. Non fa una piega. E infatti – scrive Merlo - a ben guardare, nella decisione di Arturo Scotto e Nico Stumpo, rispettabilissimi deputati dell’ormai ex Articolo 1, insomma amici di Roberto Speranza (che ha invece votato a favore dell’invio delle armi), c’è probabilmente tutto il senso, per così dire, di ciò che da quattro mesi sta all’incirca accadendo nel Pd alle prese con il congresso più lungo della storia dell’occidente (e anche dell’oriente)”. Inoltre, aggiunge Merlo, c’è la paradossale vicenda dei due Manifesti: “Il Pd è pressappoco come una Nazione che abbia due Costituzioni o come una nave che stia seguendo allo stesso tempo due rotte diverse. D’altra parte – prosegue - lo diceva anche Groucho Marx, intellettuale di riferimento non meno dell’altro Marx: ‘Questi sono i miei principi, ma se non vi piacciono ho anche questi altri’. E se un solo manifesto dei valori è già una cosa tipo i magazzini Harrod’s, ovvero ci si trova dentro qualsiasi cosa, dalle grattugie ai tappeti persiani, figurarsi ben due manifesti dei valori. Che abbondanza, che ricchezza, che varietà. Lo stolto a questo punto si chiederà se così facendo i valori perdano di valore, mentre il saggio del Pd saprà al contrario apprezzare la prodigiosa e democratica elasticità della situazione. Morbidi e malleabili, adesso sì che i valori realizzano magnificamente la politica secondo il sistema del Padel, appunto, ossia mediante quei rimbalzi e palleggiamenti che ieri pomeriggio alla Camera hanno finalmente consentito ad Arturo Scotto e Nico Stumpo, in perfetta e tennistica coerenza, di non votare gli aiuti militari all’Ucraina. Contro Putin ma con Putin, occidentali ma orientali, un po’Nato e un po’ Patto di Varsavia, liberali e pure socialisti. Una volta – conclude - nel Pd lo chiamavano ‘ma anche’, ed era quando di manifesto dei valori ne avevano soltanto uno. Figurati adesso”.
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