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Le troppe ipocrisie
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 12/01/2023

“Il dibattito dell’altro ieri al Senato sul decreto per gli aiuti all’Ucraina ha fatto emergere un segnale preoccupante”. Ne parla Francesco Verderami sul Corriere della Sera che anche se “la maggioranza ha sostenuto in modo compatto il provvedimento deciso dal governo, quando si affronta un tema così delicato come la guerra non basta votare: serve avere anche una postura, un tono di voce e soprattutto un linguaggio convincente che sia coerente con la scelta. Anche perché – scrive l’editorialista - la scelta va spiegata a un’opinione pubblica che la politica ha il compito di guidare. Gli italiani stanno subendo le conseguenze del conflitto scatenato dalla Russia. Perciò il sostegno a Kiev andrebbe motivato senza offrire interpretazioni che alimentano il dubbio tra i cittadini e rinnovano vecchi sospetti tra i partner occidentali. Che senso ha autorizzare l’invio di armi agli ucraini se—come ha fatto la Lega—si accompagna il voto favorevole con l’avviso che non si potrà comunque pretendere la sconfitta di Mosca? Che senso ha parlare di pace se si lascia intuire che sia Volodymyr Zelensky a non volerla, sposando così la retorica russa? Insomma, su cosa poggia la coerenza se il voto viene smentito dalle parole che lo accompagnano? L’altro elemento distorsivo del dibattito al Senato – sottolinea Verderami - è stato l’assenza di realismo che rischia di incrinare il rapporto con l’opinione pubblica. Utilizzando la retorica della pace (obiettivo a cui ovviamente tendere) si è nascosta la comune consapevolezza che il conflitto non sarà destinato a terminare in tempi brevi. È come se la politica volesse deresponsabilizzarsi invece di assumersi il compito di far comprendere al Paese la verità della situazione: il fatto cioè che le difficoltà continueranno. Le voci dissonanti nella maggioranza testimoniano che su uno dei principali temi d’indirizzo non c’è chiarezza. E che l’intesa dovrà essere testata quando le prove si faranno più difficili. In ogni caso – conclude - non è un buon viatico, visto che non sono passati nemmeno quattro mesi dalle elezioni”.
Luca Ricolfi, la Repubblica
Quella sulle accise è la prova del fuoco per il governo Meloni. Lo scrive Luca Ricolfi su Repubblica osservando che "discutere se si tratti oppure no di una promessa mancata è meno rilevante rispetto ad un altro dato: l’aumento del prezzo dei carburanti è tangibile, riguarda quasi tutti, ed è di entità non trascurabile (in media 35-40 euro al mese per famiglia, secondo una mia stima). Insomma – sottolinea l’editorialista - è una di quelle mosse cui non si può non reagire. Quel che mi sembra certo è che, coerenza con le promesse elettorali a parte, dare una spiegazione non è difficile. La ratio della misura è infatti molto semplice e chiara: mantenere la riduzione delle accise si poteva fare solo in due modi, ovvero con 10-12 miliardi in più di debito pubblico, o con 10-12 miliardi in meno di sostegni alle famiglie e alle imprese. Nessuna delle due opzioni sarebbe stata indolore, ed è tutto da dimostrare che sarebbero state opzioni più favorevoli ai ceti popolari e/o meno rischiose per l’economia. Quindi la domanda è: come reagirà nelle prossime settimane l’elettorato di Giorgia Meloni? Questo è un test importante. Dall’andamento del consenso verso questo esecutivo, di fronte a uno scoglio che è di natura strutturale, si potrà capire meglio la natura del sostegno a Giorgia Meloni. Se, come alcuni sondaggisti già paiono intravedere, dovessimo assistere a un travaso di voti da Fratelli d’Italia ai Cinque Stelle e alla Lega, sarebbe difficile non concludere che è sostanzialmente corretta la lettura in chiave populista del consenso al partito di Meloni. Se invece il consenso al partito e alla sua leader dovesse reggere l’urto della prima vera prova da quando si è insediato il nuovo governo, forse dovremmo dare qualche credito in più a quanti sottolineano le novità che la destra di Fratelli d’Italia ha portato sulla scena politica. Con un consenso calante, sarebbe difficile per Giorgia Meloni non essere tentata da qualche passo all’indietro. Ma se il consenso dovesse reggere l’urto delle accise – conclude - la sua capacità di guidare l’esecutivo riceverebbe un ulteriore impulso”.
Annalisa Cuzzocrea, La Stampa
Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa si sofferma sulle ‘giravolte di Meloni a tg unificati’: “Andare di corsa nei telegiornali delle 20, Tg1 e Tg5, per riscrivere per la terza volta in tre giorni la versione sul mancato taglio delle accise sulla benzina – scrive l’editorialista - significa aver capito di aver sbagliato molto, in questa storia. Forse tutto. Giorgia Meloni non ha solo paura della rivolta dei benzinai, che pure può considerare parte della sua base elettorale. Le preoccupazioni della presidente del Consiglio riguardano tutto l’elettorato, perché non c’è tema più trasversale del costo dei carburanti. Prima adotta la tecnica populista per antonomasia: è colpa della speculazione! Le dichiarazioni in questo senso si susseguono anche nelle ore in cui è il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica a certificare che no, non c’è nessuna speculazione, il prezzo medio dei carburanti sale esattamente del costo dell’accisa reintrodotta. La versione cambia, siamo al taccuino della premier e al ‘bagno di realismo’. Riassumiamo: «Sapevamo che i prezzi sarebbero aumentati, ma il taglio delle accise è ingiusto, aiuta anche i miliardari, noi abbiamo deciso di concentrarci sui più bisognosi, e poi il video in cui parlavo della necessità del taglio era del 2019». Ai quotidiani e alle residue forze di opposizione basta andare a pagina 26 del programma di Fratelli d’Italia per leggere la promessa di «sterilizzazione delle entrate dello stato da imposte su energia e carburanti» e di «automatica riduzione di Iva e accise». Ai tg, la premier la spiega così: «Non si parla di taglio, ma di sterilizzazione. Vuol dire che se il prezzo sale oltre una determinata soglia, quello che lo Stato incassa in più di Iva verrà utilizzato per abbassare il prezzo. Che è quello che si sta facendo anche con questo decreto». Peccato che per farlo, il decreto sia stato modificato dal Consiglio dei ministri di ieri sera. La retromarcia non è completa, per attuarla servirebbero molti miliardi di euro e il governo non li ha. Ma c’è la consapevolezza – conclude - di aver fatto male i conti, quanto meno con l’umore – e le sofferenze – del Paese”.
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