La banda dell'Arancia Meccanica
Massimo Lugli, Newton Compton - 2025
Ex libris - Elisabetta Bolondi 07/06/2025

Nuovo appuntamento con i romanzi noir di Massimo Lugli: questo, che si svolge a Roma negli anni 80, è più che noir, direi quasi splatter, per le troppe scene violente che il celebre autore, ex nerista di Repubblica, ci mostra con la consueta ironia nel descrivere le imprese dell’io narrante, che questa volta si chiama Marco Berilli, è un giornalista trentenne che si sta affermando nella redazione di cronaca nera di Paese Sera, anzi per certi versi è già un mito tra i colleghi. Alter ego dell’autore, Marco veste male, mangia peggio, ha una vecchia Vespa, una borsa di Tolfa a tracolla, delle simil Clarks, e la grandissima ambizione di essere il primo: tramite buoni rapporti con la Polizia, ci riesce. Lugli prende spunto da una storia vera, ma con grande abilità narrativa riesce a trasformarla rendendola simbolica, indicativa di una certa atmosfera. Questo romanzo si riferisce ad una stagione della malavita romana in cui un paio di personaggi, un poliziotto infedele ed un bestione di Torre Angela, riuscirono a tenere in scacco le forze dell’ordine per un lunghissimo periodo, mentre venivano fatte rapine spaventose a coppie di ricchi, raggiunti nelle loro sontuose case romane, dove venivano razziati soldi, gioielli, quadri, argenterie, mentre, davanti al marito legato, andavano in scena stupri violenti della moglie di turno, in un tripudio di botte, offese, umiliazioni, sevizie, sodomizzazioni e tutto il possibile repertorio di insulti che nel dialetto borgataro romano suonano particolarmente efferati. Il poliziotto si chiama Romolo, detto Ro, e viene da una assurda situazione familiare che gli ha fatto nascere una violenza ed un rancore incoercibile, che il mestiere di poliziotto non è riuscito ad incanalare in una posizione legalitaria. Er Bove invece è un decerebrato, un energumeno corto di testa e forte di fisico, sempre pronto a menare e a sparare, che solo l’acume e l’esperienza pratica di Romolo in polizia riesce a contenere. Nella borgata di Torre Angela dove i due si riuniscono nell’unico bar, frequentato e gestito da Bruno, il complice silenzioso, si mettono a punto i progetti di rapina: Romolo vuole il potere, l’adrenalina corre veloce mentre ruba, violenta, stupra, minaccia, convinto di farla franca e di essere più furbo dei colleghi che gli danno la caccia. Interessante la scelta delle vittime, abitanti di Roma Nord o di ville isolate, impaccati di soldi, con molti segreti da nascondere, reticenti a denunciare, soprattutto gli stupri: le signore bene della mondanità romana, vicine al potere, alla Chiesa, ai patrimoni pubblici, non possono essere additate come vittime di energumeni orrendi, che le posseggono con violenza animalesca condita con epiteti tipici di una lussuria da bordello, talvolta perfino eccitante pur nell’orrore della situazione.
Il giovane e rampante Berilli in questo romanzo racconta anche del suo innamoramento per la neofita collaboratrice dell’Unità, il quotidiano del Pci che l’ha appena assunta: Anna è giovane, elegante, chic, abita ai Parioli, ha pure lei qualche segreto, ma viene irretita dall’audace e disinvolto comportamento professionale del collega Marco, con cui inizia a collaborare, sempre sul pezzo, in una travolgente passione sentimental-erotica. Un’immagine di Roma negli anni bui, tra la fine degli anni settanta e l’inizio del decennio successivo, quando, prendendo spunto dal film di Kubrik del 1971, “L’Arancia Meccanica”, una vera banda guidata da un violento capo e dai suoi complici, ridussero al terrore l’intera società romana, di cui fecero le spese molti Vip del tempo, Fabio Testi, Peppino di Capri, Adelina Tattilo, solo per citarne alcuni, derubati, torturati, umiliati, distrutti. Un pezzo di costume ricostruito da Lugli con la solita efficacia: un po’di ridondanza, forse, nella ripetizione quasi ossessionante del turpiloquio, della violenza fisica e verbale con cui sono ritratti i protagonisti, poveri cristi ignoranti e deprivati di tutto, anche se sappiamo che la mala romana, come spiega Lugli, era nulla, rispetto al clan dei Calabresi che fa una breve comparsa nel romanzo, rivelando la presenza di un cancro drammatico espanso in tutto il paese, mai davvero debellato. La Roma di Massimo Lugli è raccontata da un grande conoscitore, da un bravo narratore, da un testimone attento e informato.
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