Perduto è questo mare
Due uomini e il mare di Napoli, perduto. Questi i protagonisti della storia molto personale, intima direi, che la scrittrice Elisabetta Rasy affida alle pagine di un romanzo un po’ mémoir, ma anche storia della società napoletana nella quale l’autrice ha trascorso l’infanzia, storia del cinema italiano, della letteratura del dopoguerra, di un mondo perduto, come “l’armonia”, uno dei titoli della produzione di Raffaele La Capria, Duddù, anzi, come fu chiamato a Roma, Dudù: il longevo e mai dimenticato scrittore napoletano, insieme al padre della scrittrice, in momenti diversi ci raccontano Napoli, nelle sue sfaccettature, nella sua diversità, nella sua straordinaria ricchezza di idee, ispirazioni che provengono dalle differenti lingue, culture, presenze che si sono avvicendate nei secoli della sua lunga e difficile storia. Quando l’amatissimo padre di Elisabetta Rasy muore in ospedale, la figlia non lo frequentava più da anni, dopo che si era trasferita a Roma con sua madre, un’attrice che tentava di affermarsi nella capitale negli anni del primo dopoguerra, con poco successo purtroppo, la scrittrice ormai adulta e affermata vive una lunga ed intima amicizia con lo scrittore di “Ferito a morte”, Premio Strega nel 1961. Personaggio centrale nella vita culturale romana, ma fedele alle sue origini partenopee, La Capria, insieme alla sua bellissima moglie Ilaria Occhini, offre ad Elisabetta Rasy accoglienza e confidenza; nel suo appartamento romano a Palazzo Doria Pamphlili, con un bel terrazzo affacciato sui tetti del centro storico, sono frequenti gli incontri, le cene, le chiacchiere che si scambiano, mentre il ricordo di Capri, di Napoli, del palazzo Donn’Anna dove La Capria aveva vissuto nei suoi anni giovanili; lo scrittore era un tuffatore provetto, innamorato di quel mare che resta dentro ai napoletani che hanno lasciato la loro città per sempre, come qualcosa di ancestrale, di perduto ed inconsciamente sempre rimpianto. Le due parti del libro, quella relativa al padre, di cui l’autrice ci regala un ritratto veritiero, mai retorico, ben consapevole della personalità poliedrica ma al tempo stesso incapace di risultati concreti di quest’uomo bello, elegante, charmant, ma alla fine un personalità incompiuta, sfuggente, dalla quale la figlia si allontana per lungo tempo; poi quella dello scrittore amato, un uomo già anziano, che vivrà a lungo, quasi a sfiorare i cento anni, Ci sono molti libri, molti film in questo racconto: uno su tutti, “Le mani sulla città “ di Francesco Rosi, sceneggiatura di Raffaele La Capria: un film presentato a Venezia nel 1963, un capolavoro che aiuta a capire il sacco che distrusse Napoli, grazie a uomini scriteriati, tra quali è necessario ricordare Achille Lauro, Il Comandante, amatissimo da disgraziati e affamati napoletani che ricevevano dall’armatore-sindaco, elemosine mentre la loro città veniva coperta di cemento e snaturata. C’è anche l’Eneide, nel libro di Rasy, il ricordo del “pio Enea”, che con il padre Anchise sulle spalle, il figlio Julo per mano, e la moglie Creusa dietro, tentava di fuggire da Troia in fiamme. Creusa però non ce la fa a seguirlo, e scompare, inghiottita dall’ignoto. Le considerazioni che l’autrice affida alle sue pagine sono interessanti: prima Creusa, poi Didone, donne amate ma poi tradite e abbandonate, da un uomo che tenta di salvare gli uomini, padre e figlio, nell’intento di compiere un’impresa che gli darà l’eternità della fama. Un libro ricco di suggestioni, di temi attuali pur se inseriti con rigore storico negli anni del 900, quelli della giovinezza e poi della maturità dei personaggi che fanno da corona alla storia biografica: la speculazione edilizia napoletana, mentre le sue dame trascorrevano la notte al tavolo verde, perdendo quel poco che era rimasto di imponenti patrimoni, le vacanze spensierate a Capri, che viveva i suoi anni d’oro, il cinema Amedeo, dove Lello, suo padre, portava la ragazzina a vedere Gene Kelly, Fred Astaire, Gary Cooper…Bello il libro di Rasy, ricco, pieno di amore per una famiglia difficile, per un amico prezioso, per una città indimenticabile: la fuga a Roma, che rappresentava il futuro per chi voleva scrivere, fare cinema, approdare alla televisione, quella fuga tentata da tanti, non aveva coinvolto Lello, che non aveva voluto lasciare la sua città, riducendosi in miseria e in solitudine. Il titolo del libro è una citazione, struggente, tratta da “Capri e non più Capri!” in cui La Capria aveva scritto “ Perduto è questo mare…e tutte le baie, le spiagge, le marine ridenti sulla costa italiana, per più di seimila chilometri su settemila. Perduti Miseno, Cuma e Baia, i Campi Flegrei fumanti sulfurei vapori, perduti Lucrino e Trentaremi, e Nisida dai bei nomi. Perduto il golfo della Sirena Partenope, di Lucullo e di Stazio, perduto dal Capo Posillipo fino alle rive vesuviane, perduto più di Pompei e Ercolano, da Portici a Oplonti, Vico Equense e Seiano. Perduta la penisola cara a Minerva….perduta la trasparenza delle acque di Nerano, Amalfi e Positano……Perdute, perdute, per sempre perdute.” Poesia pura.