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Buonvino e il circo insanguinato
Walter Veltroni, Marsilio - 2024
Ex libris - Elisabetta Bolondi 31/10/2024
Buonvino e il circo insanguinato
In una recente intervista Walter Veltroni ha dichiarato che il commissario Buonvino, protagonista dei suoi ormai numerosi gialli ambientati al commissariato di fantasia posto dentro Villa Borghese a Roma, è diventato “un suo amico”, una sorta di fittizio alter ego che dell’autore condivide la passione per il cinema, per la sua città, per un atteggiamento sapientemente attento agli altri, collaboratori, amici, ma anche agli estranei che la sua vita professionale gli fa incontrare. Siamo ormai al quinto romanzo pubblicato da Marsilio, che esce con grande battage pubblicitario, per la fortuna editoriale che questa serie riscuote presso il pubblico: indubbiamente i gialli, queste copertine ricordano i mitici “gialli Mondadori” che per decenni sono stati comprati in edicola e letti con passione dagli italiani, aiutano ad elevare il numero sempre più scarso dei lettori di libri che le statistiche denunciano. Veltroni poi con consumata abilità di comunicatore, riesce ad infilare nelle sue trame poliziesche qualcosa in più. In questo ultimo romanzo infatti, durante la prima di uno spettacolo circense, il Circo Colaiacomo ha montato il proprio tendone al Parco dei Daini, poco lontano dal commissariato di Villa Borghese; dunque mentre il pubblico di tanti bambini assiste incantato alle esibizioni degli acrobati, avviene un tragico incidente: la trapezista Manuelita, che dovrebbe essere afferrata in volo dal compagno, suo marito Alberto, manca la presa e precipita sulla rete di protezione che però non ne salva la vita: è caduta proprio sulla parte rigida cha assicura la rete ai pali di sostegno, e per lei non c’è niente da fare. Apparentemente un tragico incidente, ma per il commissario Buonvino che assisteva con attenzione allo spettacolo, qualcosa non torna, come se l’apparente fatalità che ha coinvolto due acrobati abilissimi, nascondesse qualche segreto. Ecco allora che il commissario, dopo le indagini di rito, comincia ad interrogare tutta la comunità circense, scoprendo che quella grande famiglia che insieme vive, lavora, mangia, dorme, pulisce, si esibisce, si ama, in realtà nasconde moltissimi segreti.
Man mano che Buonvino conosce meglio i vari protagonisti della truppa itinerante, si convince che ci siano problemi di ogni genere, celati agli occhi del pubblico a cui appare una realtà allegra, festosa, rutilante di suoni e colori ma davvero falsa. Ci sono rancori, gelosie, rivalità, odi a stento trattenuti, amori infelici, infedeltà, solitudini che permeano quell’atmosfera di cui il riso sguaiato dei pagliacci mostra la duplice faccia. L’autore non può che ricordare quanto l’amato Federico Fellini abbia lavorato sull’atmosfera del circo, quanto sia stato scritto su quel tema che appare il nucleo forte della filmografia felliniana, e ancora quanto sia rimasto impresso nella mente dello stesso Veltroni/Buonvino la sua presenza al circo da bambino, uno spettacolo triste, “E poi i pagliacci, che lo terrorizzavano. Avevano, in genere, dei trucchi in viso tra il mostruoso e lo straziante…E poi quei tizi non erano sullo schermo o su un palco lontano. No, ti venivano vicino, a un metro, e se eri un bambino ti prendevano in giro. Eri la loro vittima, il loro bersaglio preferito.”. Tutto il piccolo giallo di Veltroni in realtà esprime malinconia, tristezza: sia quella relativa ai personaggi della storia, Manuelita muore dopo che sua madre ha appena perso la vita in uno strano incidente, il suo rapporto col marito è in crisi, ha altri segreti che la fanno soffrire, le lacrime sul suo volto appaiono anche nell’ultima tragica fase della sua vita; ma anche lo stesso narratore, Giovanni Buonvino, vive in modo malinconico i ricordi d’infanzia, la scoperta dolorosa della non esistenza di Babbo Natale, il circo e il ghigno triste dei clown per i cui scherzi non riusciva a sorridere: ma anche ora, la serata di Capodanno gli procura un indicibile senso di solitudine, di attesa. Nel finale del libro, inatteso come si conviene, una storia di frustrazione, di disagio psicologico, di delusione, viene spiegata a lungo e con partecipazione sincera da parte di chi intuisce che il male, così diffuso in questo tempi cupi, avvolge tutti in una rete sottile tutti noi.
Man mano che Buonvino conosce meglio i vari protagonisti della truppa itinerante, si convince che ci siano problemi di ogni genere, celati agli occhi del pubblico a cui appare una realtà allegra, festosa, rutilante di suoni e colori ma davvero falsa. Ci sono rancori, gelosie, rivalità, odi a stento trattenuti, amori infelici, infedeltà, solitudini che permeano quell’atmosfera di cui il riso sguaiato dei pagliacci mostra la duplice faccia. L’autore non può che ricordare quanto l’amato Federico Fellini abbia lavorato sull’atmosfera del circo, quanto sia stato scritto su quel tema che appare il nucleo forte della filmografia felliniana, e ancora quanto sia rimasto impresso nella mente dello stesso Veltroni/Buonvino la sua presenza al circo da bambino, uno spettacolo triste, “E poi i pagliacci, che lo terrorizzavano. Avevano, in genere, dei trucchi in viso tra il mostruoso e lo straziante…E poi quei tizi non erano sullo schermo o su un palco lontano. No, ti venivano vicino, a un metro, e se eri un bambino ti prendevano in giro. Eri la loro vittima, il loro bersaglio preferito.”. Tutto il piccolo giallo di Veltroni in realtà esprime malinconia, tristezza: sia quella relativa ai personaggi della storia, Manuelita muore dopo che sua madre ha appena perso la vita in uno strano incidente, il suo rapporto col marito è in crisi, ha altri segreti che la fanno soffrire, le lacrime sul suo volto appaiono anche nell’ultima tragica fase della sua vita; ma anche lo stesso narratore, Giovanni Buonvino, vive in modo malinconico i ricordi d’infanzia, la scoperta dolorosa della non esistenza di Babbo Natale, il circo e il ghigno triste dei clown per i cui scherzi non riusciva a sorridere: ma anche ora, la serata di Capodanno gli procura un indicibile senso di solitudine, di attesa. Nel finale del libro, inatteso come si conviene, una storia di frustrazione, di disagio psicologico, di delusione, viene spiegata a lungo e con partecipazione sincera da parte di chi intuisce che il male, così diffuso in questo tempi cupi, avvolge tutti in una rete sottile tutti noi.
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