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Tredicesima strada New York

Luciana Capretti e Stefano Trincia, Galaad Edizioni 24

Ex libris - Elisabetta Bolondi 20/09/2024

Tredicesima strada New York Tredicesima strada New York Luciana Capretti firma insieme al marito Stefano Trincia, mancato qualche anno fa, una storia di coppia autobiografica, lucida, interessante e  molto commovente. Il rapporto con la città di New York a partire dagli anni ’80, quando la giovane Luciana, neo laureata, appassionata di danza,  con tesi su Isadora Duncan, e il suo compagno Stefano, promettente studioso di slavistica, sbarcano in un inverno gelido nella metropoli, provenendo dal Canada, dove erano stati ospiti di amici avventurosi. Decisi a restare a New York per qualche tempo, cominciano l’affannosa ricerca di un posto dove stare, di un letto ,  con pochissimi soldi in tasca, giusto il necessario per provvedere al biglietto aereo di ritorno, e con un visto da studenti in scadenza: solo tre mesi dura il permesso di soggiorno in Usa. Comincia così per i due ragazzi, intelligenti, entusiasti, innamorati, un continuo pellegrinaggio alla ricerca di una modesta ospitalità  , di un lavoro, di una possibilità di sopravvivenza in una città difficile, ostile, sporca, gelida, abitata da homeless nei tunnel della subway, con interi quartieri ghetto: allora Harlem era davvero off limits per gli stranieri bianchi. La protervia, la sicurezza nelle proprie capacità, la voglia di inventare qualcosa pur di lavorare nella metropoli , portano i due, sempre insieme,  sempre pronti ad appoggiarsi , ad incontrare i più strani personaggi, che, dopo molti rifiuti (c’è necessità di documenti ed attestati che i due non avevano), otterranno piccoli incarichi alla Rai di New York, luogo magico dove i vari giornalisti corrispondenti, Paolo Frajese, Sergio Telmon, Antonello Marescalchi, il mitico Ruggero Orlando, regnavano potenti agli occhi ammirati di Luciana e Stefano. Dopo aver frequentato i luoghi più infimi della città, dove si ammassano milioni di schifosi scarafaggi e altrettanti topi, dopo aver bevuto litri di caffè americano accompagnati da poco altro, una fetta di torta proteica, con un materasso arrotolato da portarsi dietro nei continui spostamenti da un alloggio ad un altro, finalmente, grazie alle amicizie e alla stima che si stanno conquistando, arriveranno ad una vera casa, in un seminterrato, nella Tredicesima strada. Ormai Luciana e Stefano sono giornalisti, lei farà interviste a personaggi importanti, collaborerà con il Radiocorriere, lui approderà al Messaggero, continuando la sua attività di traduttore. “Luziana e Stefàno” , come li chiamavano i loro primi allievi di lingua italiana, ormai sono dei professionisti, hanno messo su famiglia, i loro figli sono “americani”, serissimi, ben lontani dal metodo italiano, qualche bugia, qualche sotterfugio per aggirare la rigida burocrazia di stampo calvinista di cui si erano serviti i loro genitori per sopravvivere ed affermarsi nella New York reaganiana. Anche io ho vissuto nel sogno americano, che mi ha portato negli anni ’70 a studiare letteratura americana, e nel libro di Capretti–Trincia ho ritrovato molte delle sensazioni, dei miti, delle delusioni che l’America procurava a noi giovani italiani appena usciti dai sogni sessantottini, quando Bob Dylan , Joan Baez e Luther King  occupavano il nostro immaginario. Luciana cita “Il falò delle vanità”, di Tom Wolfe, romanzo fondamentale per raccontare la New York di quegli anni, come fa con molta efficacia anche  il libro di memorie di Luciana, in cui compaiono, oltre ad alcune belle foto, interi brani scritti da Stefano, la cui voce, “ sempre dentro di me, come se stessimo ancora raccontando insieme”, è giustamente presente in questo libro,  che si legge  con  piacere e in qualche momento con profonda empatia nei confronti degli allora giovani e determinati protagonisti.
 
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